Il fenomeno delle NDE:
dalla speculazione filosofico-religiosa alle ipotesi della scienza di Astro Calisi
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--------------------- NOTE (1) Raymond Moody,
La vita oltre la vita, Mondadori, Milano, 1977 (2) Raymond Moody,
La luce oltre la vita, Mondadori, Milano, 1989, pagg. 103-5. (3) (James
Olds e P. Milner, “Positive Reinforcement Produced by Electrical Stimulation of
Septal Area and Other Regions of Rat Brain”, in J. Comp. Physiol.
Psychol.,
1954, 47, pagg. 419-27; Benjamin Libet, Mind time. Il fattore temporale nella
coscienza, Raffaello Cortina, Milano, 2007; W. Penfield e T Rasmussen,
The Central Cortex of Man.
A Clinical Study of Localizzation
of Functions, MacMillan,
New York, 1950; Michael Persinger, ELF and VLF Electromagnetic Field Effects,
Hardcover, 1974 e Michael Persinger, Neurophysiological Bases of God Beliefs,
Kindle Edition, 1987. (4) Raymond Moody,
La vita oltre la vita, cit., pagg. 87-9. (5) Ibid.,
pag. 89. (6) Ibid.,
pagg. 80-6. (7) Fulvia
Cariglia, La luce e la rinascita, Mondadori, Milano, 2009. (8) Ibid.,
pag. 5.
[
email dell’autore:
astrocalisi@gmail.com ]
Il fenomeno delle esperienze di premorte (EPM, come vennero inizialmente
chiamate da Raymond Moody (1), o NDE (Near Death Experiences, nella
terminologia oggi quasi universalmente adottata) si è imposto negli ultimi
decenni all’attenzione generale, e in particolare a quella di medici e psicologi.
Si tratta di un insieme di esperienze molto particolari che si verificano
solitamente in corrispondenza di gravi traumi o malattie.
I diversi studi, più o meno sistematici, finora condotti, hanno evidenziato
alcuni aspetti ricorrenti in tali esperienze, quali l’impressione di separarsi
dal proprio corpo, trovandosi spesso a osservarlo da una prospettiva diversa
rispetto alla posizione effettivamente occupata dal corpo stesso; attraversare
rapidamente una specie di tunnel o una zona buia, fino a giungere in un luogo
pieno di luce; incontrare parenti e amici defunti, anch’essi immersi nella luce;
trovarsi davanti a un Essere particolarmente luminoso, dal quale emana un
intenso sentimento di amore e di comprensione; passare rapidamente in rassegna,
come in un film, le azioni compiute durante la propria vita, avvertendo
immediatamente gli effetti che esse hanno avuto sugli altri; infine sentirsi
richiamato prepotentemente all’indietro e risvegliarsi nel mondo ordinario.
E’ bene precisare che tali aspetti, sia pure caratteristici del fenomeno delle
NDE, non sono quasi mai tutti presenti contemporaneamente nell’esperienza di una
singola persona, rappresentando piuttosto gli elementi più comuni che
riscontrati nei resoconti relativi al fenomeno stesso.
Un tempo il fenomeno delle NDE era piuttosto raro, non se ne trovava traccia
nella letteratura medica, e i pochi pazienti che osavano accennare alla loro
esperienza, erano spesso considerati affetti da turbe psichiche e inviati alle
cure di un psichiatra (2). Oggi, con il perfezionarsi delle tecniche di
rianimazione, il numero dei pazienti in condizioni critiche che vengono
riportati in vita si è enormemente accresciuto. Ciò ha permesso di raccogliere
una notevole mole di dati sul fenomeno, contribuendo a diffonderne la
conoscenza, anche tra il vasto pubblico, modificando di conseguenza anche
l’atteggiamento nei suoi confronti. Oggi non si mette più in dubbio l’esistenza
delle NDE, né le si considera una forma di patologia; in discussione è piuttosto
l’interpretazione da dare a esse. A tal proposito, le posizioni attuali possono
essere ricondotte a due grandi categorie, che chiamerò interpretazione
materialista e interpretazione spiritualista.
L’interpretazione materialistica è la tipica posizione della scienza ufficiale,
in particolar modo della medicina e della neurologia, per le quali le NDE non
sarebbero altro che fenomeni di natura allucinatoria, provocati dal particolare
stato di sofferenza in cui vengono a trovarsi le cellule cerebrali a causa di
una carenza di ossigeno e di sostanze nutritive. Secondo questa concezione, le
esperienze riferite dai soggetti sarebbero simili a quelle che si verificano
sotto l’effetto di certe droghe o sollecitando particolari zone della corteccia
cerebrale con deboli correnti elettriche: quindi non ci sarebbe in esse nulla di
veramente particolare.
Secondo l’interpretazione spiritualista, invece, le NDE costituirebbero una
prova dell’esistenza di una parte immateriale dell’uomo, che sopravvive alla
morte del corpo fisico. In tale prospettiva, le NDE andrebbero considerate come
una sorta di sbirciatina nel mondo dell’aldilà: la luce intensa (vista come una
emanazione divina) e il rivivere in rapida successione i vari episodi della
propria vita (che ricorda molto da vicino il “giudizio finale” che attenderebbe
ogni persona al suo ingresso nell’aldilà), sarebbero altrettanti indicatori
della validità di questa interpretazione. A sostegno della loro tesi, gli
spiritualisti portano anche altri argomenti di maggiore consistenza scientifica.
In particolare:
a) Le NDE
avvengono per lo più in condizioni di arresto cardiaco e di assenza di attività
cerebrale (EEG piatto), in corrispondenza delle quali ci si aspetterebbe un
totale offuscamento delle facoltà coscienti.
b) Le NDE sono
estremamente vivide e coinvolgenti, nonché ricche di particolari; i ricordi si
fissano stabilmente nella memoria del soggetto, che si dimostra in grado di fare
descrizioni accuratissime dell’esperienza vissuta, anche a distanza di anni. Ciò
è esattamente il contrario di quanto si verifica sotto l’effetto di droghe o in
seguito ad altri tipi di stimolazione.
c) Le NDE
provocano dei cambiamenti profondi e duraturi negli atteggiamenti e nelle
convinzioni del soggetto, soprattutto nel suo modo di porsi nei confronti
dell’esistenza e nei suoi rapporti con gli altri.
Questi argomenti, per quanto non privi di una certa rilevanza, non possono
comunque essere considerati prove decisive sulla non riconducibilità delle NDE
agli ordinari fenomeni neurofisiologici. Ad esempio, all’osservazione che le NDE
si verificano solitamente in condizioni di assenza di attività elettrica del
cervello, è possibile replicare che non si può escludere del tutto l’esistenza
di processi nervosi residui, di entità così debole da sfuggire alla rilevazione
delle apparecchiature attualmente disponibili. Allo stesso modo, l’intensità
dell’esperienza e gli effetti prodotti sulle persone, benché insoliti per
fenomeni di natura allucinatoria, non sono sufficienti per giustificare la
conclusione che le NDE riguardano entità e mondi che non appartengono alla
realtà fisica ordinaria.
In linea generale, si può dire che l’interpretazione spiritualista del fenomeno
delle NDE tragga ispirazione dalla tradizione religiosa cristiana, limitandosi
poi a presentare i resoconti dei soggetti coinvolti come prove della validità di
tale interpretazione. Si tratta di una concezione molto debole sotto il profilo
scientifico, poiché il richiamarsi a un mondo soprannaturale o all’esistenza di
entità spirituali è precisamente l’aspetto che più contrasta con il naturalismo
scientifico, fondato sul deciso rifiuto di ogni forma di dualismo.
I sostenitori dell’interpretazione materialista, d’altro canto, proponendo
spiegazioni delle NDE compatibili con la visione scientifica del mondo, non si
spingono mai a specificare con chiarezza i fatti, o le circostanze, che qualora
verificati, dimostrerebbero l’insostenibilità delle spiegazioni da loro
avanzate. In tal modo, le loro argomentazioni tradiscono il loro carattere
“filosofico”, quanto mai lontano dai metodi rigorosi della scienza.
Il dibattito sulle NDE, talvolta anche acceso, rischia così di essere sterile e
inconcludente, riducendosi, nella maggioranza dei casi, a un dialogo tra sordi.
La verità è che gli argomenti con cui si cerca di difendere le rispettive
posizioni non sono, quasi di regola, quelli che hanno portato ad assumere
quelle posizioni, ma costituiscono spesso costruzioni a posteriori
con le quali si cerca di giustificare convinzioni che hanno motivazioni profonde
e a cui molto difficilmente si sarebbe disposti a rinunciare.
Per quanto mi riguarda, sono portato a ritenere che le tesi materialistiche
tradizionali siano largamente insufficienti per render conto di tutti i dati di
cui oggi disponiamo. Infatti, se è vero che in alcuni casi le spiegazioni
neuroscientifiche possono essere considerate soddisfacenti in quanto capaci di
mostrare analogie con quanto riscontrato in particolari situazioni cliniche o
sperimentali, è vero anche che nessuna di queste spiegazioni è compatibile
con tutti i fenomeni rilevati nelle NDE.
Credo che siano maturi i tempi per dirimere una volta per tutte la questione,
dimostrando in modo inequivocabile l’insostenibilità dell’interpretazione
materialista, almeno nei termini con cui questa viene attualmente sostenuta
nell’ambito della medicina e delle neuroscienze. Affinché ciò avvenga, è
necessario abbandonare l’ambito del puro confronto verbale, basato sulla forza
dell’argomentazione razionale, per cercare una solida base empirica dei
fenomeni, capace di porsi come arbitro imparziale tra le due posizioni oggi
contrapposte.
La quasi totalità di coloro che si occupano del fenomeno delle NDE sembra
coltivare la convinzione che una simile base non esista, dal momento che gli
unici dati a cui possiamo attingere sono quelli che derivano dai resoconti degli
individui direttamente coinvolti nell’esperienza, dati che rimandano ai vissuti
interiori e quindi inevitabilmente soggettivi. I sostenitori dell’ipotesi
materialista hanno giocato molto su questa presunta inadeguatezza, che sembra
contravvenire a uno dei principali requisiti metodologici della scienza, ossia
la prescrizione di oggettività. La prescrizione di oggettività stabilisce
che solo i fenomeni rilevabili da più osservatori con metodi rigorosi hanno
importanza per l’indagine scientifica. Tuttavia, quando si ha a che fare con
fenomeni che si riferiscono alla mente, e in particolare all’esperienza
cosciente, tale prescrizione appare un puro non senso: come si può pretendere di
studiare la coscienza, luogo dei contenuti soggettivi, con metodi oggettivi?
Del resto, molti neuroscienziati sono pervenuti a scoperte di straordinaria
importanza proprio grazie alla loro decisione di non prendere troppo sul serio
la prescrizione di oggettività, ponendo a confronto dati relativi a specifici
vissuti soggettivi, così come riferiti dagli individui coinvolti nelle
situazioni sperimentali, e dati oggettivi sull’attivazione di particolari aree
cerebrali, rilevati da opportuni strumenti. Voglio qui ricordare solo alcuni tra
i ricercatori più famosi, come James Olds, che scoprì il legame tra la
sensazione di piacere provata da un soggetto e l’attivazione di specifiche aree
cerebrali; Benjamin Libet, famoso per aver scoperto il rapporto esistente tra i
nostri atti volontari e la comparsa di segnali elettrici in determinate zone del
cervello; Wilder Penfield, noto soprattutto per la sua scoperta della
possibilità di riportare alla coscienza ricordi tramite la stimolazione di aree
cerebrali ben definite; Michael Persinger, autore di importanti ricerche sulla
stimolazione magnetica dei lobi cerebrali in relazione alla comparsa di visioni
allucinatorie o stati mistici. (3)
E’ possibile immaginare, per il fenomeno delle NDE, delle metodologie di
indagine simili, dotate di autentica valenza empirica?
Finora i sostenitori dell’ipotesi spiritualista hanno concentrato la loro
attenzione sui vissuti soggettivi delle NDE, senza curarsi eccessivamente di
eventuali aspetti o implicazioni oggettive, anzi, dando per scontata
l’inesistenza di simili aspetti e implicazioni. Abbiamo così assistito a una
ricerca quasi spasmodica di casi sempre più insoliti e stupefacenti, come se la
forza degli argomenti prodotti fosse proporzionale alla spettacolarità dei
resoconti riportati. E’ venuto il momento di spostare l’indagine dagli aspetti
soggettivi delle NDE, cioè dalle esperienze vissute dai soggetti, per quanto
intense e coinvolgenti possano essere, ai loro contenuti, vale a dire
agli oggetti e ai fenomeni a cui esse fanno riferimento, nel presupposto che
almeno qualcuno di questi abbia delle corrispondenze, verificabili
empiricamente, con aspetti della realtà esterna al soggetto.
Molti soggetti che hanno sperimentato una NDE raccontano di essersi trovati a
osservare il proprio corpo da una prospettiva decentrata rispetto alla posizione
effettiva in cui questo si trovava. Essi si mostrano in grado di descrivere con
abbondanza di particolari tutto ciò che accadeva intorno a loro: le persone
presenti nella stanza, i tentativi frenetici dei medici e degli infermieri di
rianimarli, le frasi dette, ecc. In alcuni casi, il paziente riferisce
addirittura di essersi spostato in ambienti vicini, anche qui riportando
dettagliatamente osservazioni su oggetti e persone...
La spiegazione della medicina ufficiale è ovviamente che si tratta di mere
allucinazioni, costruite a partire dai contenuti della memoria del soggetto, e
per questo abbastanza verosimili da essere scambiate per fenomeni reali.
Supponiamo tuttavia che, almeno in qualche caso, tali forme di percezione non
siano del tutto illusorie. Dovremmo, di conseguenza, aspettarci che i fatti
narrati dal soggetto contengano informazioni di cui egli non era in possesso
fino al momento di vivere l’esperienza della NDE. Quindi, se lo spostamento
della prospettiva di osservazione non è di natura allucinatoria, il soggetto
dovrebbe essere capace di riferire su oggetti ed eventi che non erano
accessibili dalla specifica posizione occupata dal suo corpo. Questa
precisazione è essenziale per la dimostrazione della realtà delle
percezioni che si hanno durante una NDE, ma soprattutto è essenziale per
stabilire che si tratta di percezioni non riconducibili alle facoltà ordinarie.
Infatti, ascoltando le descrizioni, anche accurate, che un soggetto fa circa ciò
che avveniva intorno a lui, qualcuno potrebbe osservare che non si può escludere
che questi conservasse un certo grado di coscienza residua tale da permettergli
di ascoltare i discorsi fatti e, anche, di vedere confusamente attraverso le
palpebre, forse non completamente chiuse. Ponendo la condizione
dell’inaccessibilità delle informazioni rispetto alla posizione del corpo, ossia
l’impossibilità di attingere ad esse anche se il soggetto si fosse trovato
nel pieno possesso delle sue facoltà, si esclude che la fonte di certi
particolari riferiti possa essere quella della percezione normale.
Supponiamo che un soggetto racconti, come spesso avviene, di essersi trovato ad
osservare il proprio corpo dall’alto e successivamente di essersi spostato in
una stanza accanto. Se non si tratta di una semplice allucinazione, egli
dovrebbe essere in grado di descrivere ciò che gli si presentava da questa nuova
prospettiva: un oggetto collocato sulla sommità di un armadio, non visibile dal
letto in cui era adagiato il suo corpo; ma anche gli oggetti e le persone che si
trovavano nella stanza attigua, come pure eventi e circostanze, discorsi fatti,
e altri particolari a cui egli non poteva aver accesso attraverso i normali
canali percettivi. Confrontando successivamente il suo racconto con quanto
effettivamente accaduto (magari registrato da apposite telecamere), si potrebbe
verificare la correttezza delle sue osservazioni.
E’ sorprendente quanto questo aspetto delle NDE e le relative implicazioni per
un corretto inquadramento del fenomeno siano stati sottovalutati fino ad oggi.
Eppure lo stesso Moody, fin dalla pubblicazione della sua prima opera
sull’argomento, ne aveva in qualche modo colto l’importanza ai fini della
produzione di prove a favore della non illusorietà delle esperienze (4). Salvo
liquidare subito dopo il tutto come poco attendibile, perché nella maggioranza
dei casi, i “fatti” avrebbero come testimoni soltanto il morente o pochi amici e
parenti (5). Per questo motivo, egli preferisce soffermarsi diffusamente sulla
descrizione delle conseguenze, cioè dei cambiamenti profondi negli
atteggiamenti e negli orientamenti di valore che si verificano nel soggetto in
seguito a una NDE. (6)
Tale convinzione non sembra aver subito mutamenti sostanziali nel corso del
tempo. Tant’è vero che la ritroviamo, all’incirca negli stessi termini, nella
recente opera, La luce e la rinascita, di Fulvia Cariglia (7). In questo
libro, l’autrice, partendo dalla considerazione che nelle NDE è quasi
impossibile ottenere riscontri oggettivi, ritiene che l’unico modo per produrre
prove significative sia quello di concentrarsi sulle ricadute personali del
fenomeno, piuttosto che sul suo verificarsi. Il dopo delle NDE, ovvero i
suoi effetti visibili sulle persone, rappresenterebbero infatti «l’unico reperto
tangibile del fenomeno» (8). Per questo, la Cariglia dedica buona parte del suo
libro alla descrizione accurata dei cambiamenti positivi che l’esperienza di una
NDE provoca nella maggioranza dei soggetti, quali la scomparsa della paura della
morte, una maggior attenzione verso gli altri, un’accresciuta stabilità
psicologica e, in qualche caso, persino lo sviluppo di doti artistiche.
Si tratta di un aspetto indubbiamente importante, che la maniera rigorosa
e distaccata con cui l’autrice ne illustra le singole componenti, rende
particolarmente interessante. Tuttavia, esso non può essere considerato un
argomento scientificamente decisivo per la confutazione della tesi materialista
tradizionale. Non abbiamo infatti alcuna certezza che una allucinazione
particolarmente vivida e coinvolgente, non possa produrre delle modificazioni,
anche durevoli, negli atteggiamenti e nei comportamenti di una persona.
Già oggi disponiamo di un certo numero di resoconti che indicano notevoli
corrispondenze tra contenuti delle esperienze dei soggetti che hanno
sperimentato una NDE ed oggetti o eventi del mondo reale posti al di fuori della
percezione dei soggetti stessi. Purtroppo, nella quasi totalità dei casi si
tratta di riscontri effettuati da una sola persona e, per questo, del tutto
inadeguati per costituire una base empirica affidabile. Bisogna sgomberare il
campo da qualsiasi possibilità che chi propone casi significativi di questo
tipo, abbia inventato di sana pianta certe corrispondenze o vi abbia aggiunto,
anche involontariamente, dei particolari non corrispondenti alla realtà. Occorre
quindi costruire situazioni sperimentali ben controllate, in modo da escludere
frodi o errori accidentali, con l’obiettivo di raccogliere un numero
statisticamente significativo di resoconti di NDE in cui la relazione tra
esperienze soggettive e fatti esterni sia ben individuabile e, nello stesso
tempo, si possa escludere che il soggetto abbia avuto accesso a tali fatti
attraverso i normali canali visivi e uditivi.
E’ importante osservare che questa metodologia di indagine renderebbe prive di
valore tutte le presunte spiegazioni finora avanzate in ambito materialista,
poiché si rivolge a “fatti” che si collocano al di là di esse. La stessa
questione se le NDE riguardino individui che sono veramente morti, e non
soltanto pericolosamente vicini a tale condizione, diverrebbe del tutto
irrilevante. Si tratterebbe, in effetti, di un esperimento di straordinaria
importanza perché i suoi risultati potrebbero dimostrare, in maniera
difficilmente contestabile, se le NDE sono fenomeni del tutto illusori o meno:
cioè la validità della concezione materialistica tradizionale o la sua
definitiva sconfitta. Esperimenti di questo genere, nella scienza, si chiamano
“cruciali”, poiché sono in genere capaci di decidere, con scarsa possibilità di
appello, quale, tra due ipotesi in conflitto, sia quella da considerare falsa.
Sarebbero ovviamente da attendersi forti resistenze da parte dei sostenitori
della interpretazione materialista nel caso in cui i risultati sperimentali si
mostrassero in contrasto con le loro tesi. In particolare, le critiche
potrebbero concentrarsi sulle metodologie adottate, mettendone in luce
imprecisioni, aspetti trascurati o altri elementi di inadeguatezza. Si tratta di
un comportamento più che comprensibile, del resto molto frequente nella scienza
di fronte alla prospettiva di drastici mutamenti nei modelli esplicativi
consolidati. Ma, alla fine, qualora l’evidenza dei fatti si rivelasse
inattaccabile da qualsiasi tentativo di confutazione, la nuova concezione non
potrebbe che trionfare.
Spero vivamente che le mie considerazioni spingano qualche ricercatore di buona
volontà, soprattutto se impegnato in strutture ospedaliere e quindi a diretto
contatto con ammalati gravi o con pazienti in rianimazione, a intraprendere una
sperimentazioni con le caratteristiche da me delineate. Una sperimentazione di
questo genere, se vuole essere rigorosa, non può venir condotta in segreto, nel
chiuso di un laboratorio, ma richiede l’allestimento di condizioni adeguate, e
soprattutto la collaborazione di altre persone. Essa espone inevitabilmente il
suo realizzatore a critiche, opposizioni di ogni genere, se non addirittura alla
derisione e all’ostracismo. E’ mia convinzione che, almeno parte di queste
resistenze possano essere attenuate, indipendentemente dalle proprie intime
convinzioni, presentando la ricerca come finalizzata a spazzar via
definitivamente ogni ipotesi spiritualista, ossia come un tentativo di
dimostrare che le NDE sono fenomeni di natura illusoria e, in quanto tali, non
in grado di consentire l’acquisizione di altre informazioni sull’ambiente
rispetto a quelle già in possesso del soggetto.
Avviandomi alla conclusione, non posso fare a meno di accennare brevemente al
significato da attribuire alla eventuale conferma dell’esistenza di percezioni
non riconducibili agli ordinari organi percettivi. Personalmente non credo che
simile scoperta dovrebbe necessariamente essere interpretata come una prova
incontestabile dell’esistenza di un mondo soprannaturale e di entità spirituali
in grado di accedere ad esso. Assai più modestamente, ritengo che essa andrebbe
considerata per quel che è, e cioè una confutazione della tesi materialista
tradizionale secondo la quale la nostra mente non sarebbe altro che una
emanazione dell’attività nervosa del cervello, sintetizzabile nello scambio di
segnali di natura elettro-chimica tra neuroni, sia pur all’interno di
un’organizzazione estremamente complessa. Si tratterebbe comunque di un
risultato di straordinaria rilevanza scientifica, dalle implicazioni di così
vasta portata da sfuggire a ogni nostra attuale immaginazione. Non saremmo
ancora alla comprensione del fenomeno “mente”, ma, certo, ci troveremmo davanti
a una svolta radicale che aprirebbe scenari finora impensati, rendendo possibile
(e lecito) avanzare nuove ipotesi rivoluzionarie e percorrere strade del tutto
inedite per la sperimentazione.