NDE di Linda B
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Descrizione dell'esperienza:
http://www.amazon.com/Time-To-Believe-Near-Death-Experience/dp/1490399259/ref=tmm_pap_title_0?ie=UTF8&qid=1380742839&sr=8-1
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Parte I. il mio racconto è molto lungo ma gli eventi che conducono all’esperienza di pre morte sono importanti cosi come quelli che sono accaduti dopo l’esperienza. Se sei interessato solo all’esperienza di pre morte allora salta la prima parte e leggi la parte centrale, decidi come vuoi.
Tutto accadde nel 1969
Mercoledi – 2 Aprile
Ero incinta e la data del parto era molto lontana. Ero di nuovo dal mio medico. Avevo perso tre chili ed ero scesa a centotrentasette pounds e il medico non era contento. Gli dissi che a causa dei dolori che avevo provato, per quella che sembrava un'eternità, non riuscivo a dormire e a mangiare. Speravo che mi dicesse che ero veramente in travaglio, ma non lo fece. Mi disse che ero dilatata solo di un centimetro e, dopo avergli descritto ancora una volta la posizione del dolore, mi disse che stavo ancora vivendo un falso travaglio. A me sembrava un vero travaglio. Era un dolore vero e proprio e non ne potevo più.
Vide quanto ero depressa e stanca. Cercò di tirarmi su di morale. Mi disse che avrei avuto questo bambino tra due ore, due giorni o due settimane. Non stavo ridendo. Quando si fece serio, mi diede una notizia che volevo davvero sentire. Il bambino era nella posizione corretta, pesava circa tre chili e non avrei avuto altri appuntamenti per quella settimana. Il mio prossimo appuntamento sarebbe stato lunedì 7 aprile alle 10:00, ma si aspettava che il bambino sarebbe nato per allora e, in caso contrario, non vedeva l'ora di indurre il travaglio lunedì. Questo ovviamente se tutto gli sembrava corretto. Mi disse di andare a casa, di riposare e di passare una bella vacanza, visto che per la maggior parte delle famiglie erano tre giorni di festa.
Giovedi - 3 Aprile
Non ho dormito mercoledì notte. Il dolore che ho provato mi ha messo in ginocchio. Dopo che il dolore si era attenuato, non lo sentivo più per un'ora o più. Poi, quando il dolore è tornato di nuovo, mi ha trafitto e disturbato ogni cinque minuti per un'altra ora. Mi aspettavo che mi si rompessero le acque o che il bambino cadesse a terra da un momento all'altro. Non ho mai smesso di preoccuparmi e di immaginare il peggio. Non riuscivo a dormire. Non raccontavo a nessuno quello che stavo vivendo o delle mie paure. Mia suocera vedeva che non stavo bene, cercavo di essere allegra e partecipativa ma era straziante. Io e mia suocera eravamo molto occupate perché mia cognata e il suo giovane figlio erano venuti a stare in casa con noi e il ragazzo dava molto da fare. Non volevo essere un peso per mia suocera, volevo aiutare, ma stavo fallendo miseramente. Non ho mangiato il pranzo preparato da mia suocera, che si è presa il disturbo di prepararmi una zuppa e dei toast. Ha cercato di incoraggiarmi a mangiare. Avevo una gran voglia di mangiare, ma appena mi sono seduta a tavola sono iniziati i dolori accompagnati dalla nausea. Mangiare era fuori questione.
Ero cosi stanca ed era molto difficile per me controllare le mie emozioni. Ero sempre sul punto di piangere, ero molto delusa di come la mia situazione stava procedendo ed ero triste e ansiosa. Niente era come me l’ero immaginata. Avrebbe dovuto essere un momento di felicità e gioia. Mentre tutto ciò che sentivo era ansia e paura.
Rich, mio marito, staccò dal lavoro giovedi notte e voleva viaggiare di notte per ritornare a casa. Aveva tre giorni di ferie e voleva goderseli stando noi da soli e non con il resto della famiglia, tutto quello che volevo fare era nascondermi in un posto appartato da qualche parte.
Spiegai che non mi sentivo molto bene (non gli raccontai tutta la verità) ma Rich insisteva che voleva ritornare a casa, io acconsentii di andare con lui per non creare scompiglio.
Dopo cena guardammo la tv in silenzio e poi andammo a letto. Stavo a letto guardando l’orologio e contando le contrazioni. Quando hanno iniziato a essere continue con un intervallo di due minuti ho svegliato Rich e gli ho detto che era arrivato il momento di riportarmi in città, all’ospedale. Rich era sconvolto, io ero imbarazzata e mortificata perché gli dovevo dire che stavo soffrendo.
Rich non fu felice quando gli dissi che stavo soffrendo da giorni di dolori da travaglio.Era arrabbiato perché non glielo avevo detto prima di intraprendere il lungo viaggio verso casa, ma non avevo comunicato molto. Ero stata una parte molto poco costruttiva della nostra relazione.
Stava piovendo e il viaggio per la strada del ritorno era bagnato, lento e nel buio.. Quando tornammo in città, i dolori erano cessati e ora temevo di fare confusione senza motivo e di finire in ospedale per poi essere rimandata a casa con un falso travaglio. Lo dissi a Rich. Mi chiese cosa volessi fare e io presi una decisione. Scelsi di tornare a casa dei suoi genitori. Rich andò a letto e io scelsi di rimanere in salotto, dove potevo continuare a camminare, sedermi e camminare ancora.
Da li a poco I dolori ricomparvero con più forza e la mia paura del dolore superava la paura di fare confusione.
Chiamai l’ospedale e parlai con una infermiera che mi disse la solita cosa che mi aveva detto il dottore ore prima. Mi disse inoltre che pensava che quello fosse un falso travaglio, mi spiegò che se sceglievo di andare all’ospedale e fosse stato un falso travaglio sarei stata rimandata a casa. Ma aggiunse anche che se io ero spaventata, cosa che poteva sentire chiaramente dalla mia voce, avrei potuto andare all’ospedale.
Camminai e piansi ancora per un po' prima di andare nella stanza dove dormiva Rich e prendere le chiavi della macchina dal comò. Avevo deciso di guidare il mio piccolo Maggiolino Volkswagen rosso fino all'ospedale. Pensai che se avessi guidato io stessa fino all'ospedale, non avrei creato problemi a nessuno.
Rich si svegliò mentre stavo per uscire e insistette per accompagnarmi , gli dissi che avrei guidato io da sola e che non era probabilmente nulla di che. Lo avrei chiamato dall’ospedale se ci fosse stato qualcosa di rilevante, non volevo creare scompiglio, Rich mi prese le chiavi dalle mani e guidammo in silenzio verso l’ospedale per le strade bagnate dalla pioggia.Ero stata una stupida e non sapevo come smettere di comportarmi cosi.
Non portai nulla con me, se non la mia borsa, la mia paura e la mia depressione. Mi sentivo stupida, infantile, imbarazzata e sola. Tutto ciò che provavo ho scelto di affrontarlo da sola.* * *
Venerdi – 4 Aprile
Poco dopo mezzanotte il dottore venne a visitarmi e ero già dilatate di 4 cm. non ho mai sentito parole più belle. Non stavo avendo un falso travaglio , ero veramente in travaglio! Davanti a me avevo solo 6 cm di dilatazione e poi avrei tenuto in grembo il mio bambino , o cosi almeno credevo.
Il medico e le infermiere sono vennero puntualmente a visitarmi e la risposta era sempre la stessa: nessun cambiamento. Il medico dovette rompere le acque ed era preoccupato perché non c'era acqua. Mi aspettavo molto da questa fase dell'avventura. Ero delusa e il medico era preoccupato.
Il medico mi spiegò subito che il bambino non era più nella posizione corretta per il parto, ma mi disse: “Non preoccuparti” e mi girò su un fianco per lasciare che la gravità e la “natura” facessero il loro corso. Il vero problema di questo piano era che i giorni di travaglio a casa, con poco sonno e quasi senza cibo né acqua, avevano già avuto il loro peso. La “natura” mi aveva già trascinato in un pericoloso stato di debolezza, esaurimento e paura. Dirmi di non preoccuparmi era come dire a un uccello spaventato di non volare. TROPPO TARDI! In men che non si dica, mi fu collegata una flebo al braccio, mentre il personale infermieristico dell'ospedale cercava di idratarmi e nutrirmi. Questi liquidi “carne e patate”, come li chiamava il medico, si sperava mi dessero la forza e la resistenza di cui avrei avuto bisogno per la prova che doveva ancora venire. L'ottimismo del medico continuò. Il dottore spiegò anche che se il bambino non fosse tornato nella corretta posizione non mi sarei dovuta preoccupare. Avrebbe dovuto solo piegare il piccoletto e fargli qualche livido per riuscire a tirarlo fuori. Il dottore mi disse di non preoccuparmi. Ero preoccupata!
Mio marito, Rich, era accanto a me all’inizio di questo calvario. Era l’unica persona non appartenente al personale che aveva il permesso di restare nella stanza.Il resto della mia famiglia stazionava nella sala d’attesa e viveva il loro calvario.
Non mancò molto e poi iniziò il vero e proprio dolore del travaglio e oltre. Il dolore era fortissimo e costante non dava tregua e la preoccupazione del dottore poteva essere chiaramente vista nei suoi occhi che esprimevano tutto.
Il dottore mi disse che dovevo riposare appena potevo e conservare le forze ma avevo già superato la soglia. Fu allora che il medico suggerì con forza che voleva alleviare tutto il mio dolore dandomi degli antidolorifici per un breve periodo di tempo, in modo che potessi riposare. Prima che potessi parlare, avvertii una presenza familiare vicino a me. Non sapevo cosa fosse in quel momento, ma era sicuramente lì. Mia madre perse il suo promo bambino nel 1944 perchè I dottori le diedero troppo etere per calmare I dolori, io non volevo che niente che entrasse in circolazione nel corpo e nei polmoni di mio figlio e che potesse interferire con la sua vita. Volevo che mio figlio avesse tutte le migliori chance per farcela . qualcosa nella mia testa mi diceva questo, dissi al dottore che non avrei preso nulla che potesse interferire con mio figlio quindi gli antidolorifici erano fuori questione!
Sentivo dalla voce del dottore che le sue preoccupazioni erano notevolmente aumentate nel giro di poco, l’antidolorifico, che lui aveva in mente di usare, avrebbe raggiunto la circolazione sanguigna del bambino. Questa sua idea era per me fuori questione.Quando lo informai di ciò che pensavo lui iniziò a preoccuparsi.
Rich era sconvolto circa il cambiamento repentino della situazione, anche lui pensava che nulla stava andando come se lo sarebbe aspettato. In genere il suo modo di affrontare lo stress era quello di scherzare con le persone in modo da poter cambiare l’atmosfera da stressata e triste a tranquilla e rilassata.
Una piccola risata può essere molto utile in questo senso e questa è una delle cose che amo di lui. Con tutto lo stress che aleggiava nella stanza, cominciò a cercare di fare questa magia su di me. Questa volta non funzionava. Le battute di Rich mi stressarono ancora di più.
Rich cominciò a tirare fuori dal suo sacco tutte le battute terribili che di solito ottenevano una reazione da parte mia. Cominciò anche a parlare di cibo e mi prese in giro dicendo che il cibo in sala travaglio era pessimo, anzi era inesistente. Con una mia sola parola avrebbe lasciato l'ospedale e sarebbe tornato di nascosto nella mia stanza con un pasto da gourmet. Questo pasto sarebbe consistito in tacos e torta meringata al limone, conditi con un cioccolatino al malto. Questo pasto normalmente mi avrebbe reso felice, ma in queste circostanze il solo pensiero del cibo mi faceva star male. Gli sussurrai di smettere di scherzare e di parlare di cibo, ma lui continuò a cercare di tirarmi su.
Non potevo sopportare di far arrabbiare Rich. Non riuscivo a mantenere una faccia felice in sua presenza. Sentivo che le sue battute non facevano altro che peggiorare la mia situazione e non sapevo come esprimermi per farmi capire senza ferire i suoi sentimenti. Da qualche parte, nel profondo di me stessa, sapevo di essere in guai seri e di dover combattere la mia vita. In qualche modo sapevo che era una lotta che dovevo fare da sola. Dovevo concentrarmi su di me, su me stessa e non potevo farlo con Rich che cercava di farmi sentire meglio, così chiesi al medico di tenerlo fuori dalla mia stanza. Il dottore capì perfettamente e fece come avevo chiesto senza fare domande. La cosa mi sorprese e mi fece preoccupare e riflettere ancora di più.
Non lascerei mai uscire dalla stanza Rich oggi ma in quel momento io e Rich non eravamo sullo stesso piano di comunicazione , ora me ne vergogno perchè i momenti di crisi erano delle opportunità per crescere e imparare ma scelsi di affrontarla da sola senza dare a Rich alcuna spiegazione.
Il dottore disse a Rich solamente che io avevo bisogno di riposare e di stare sola e Rich non si oppose all’autorità del dottore. Oggi Rich direbbe che in una situazione del genere combatterebbe duramente per restare nella stanza. I tempi cambiano e sono contenta ma in quel momento decisi di affrontare la situazione da solo e ne
Il dottore voleva che io riposassi ma il risposo non era proprio contemplato, anzi il dolore aumentava. Fu proprio in quel momento ad un passo dalla nascita del bambino quando il dolore era diventato intollerabile che il dottore cambiò idea. Tutti erano stremati, il copro non poteva sopportare ulteriore dolore ed ero stremata, troppo era troppo. Il cesareo, a quel punto, non suonava una brutta idea.
Ero felice di sentire quella idea ed ero felice di attuarla. Mi sentivo come se avessi già trascorso una settimana su quel lettino in quella stessa stanza nella stessa posizione quando in realtà era solo una mezza giornata. Ero pronta per cambiare scenario e volentieri non vedevo l’ora di concludere la giornata.
In fondo alla mia mente temevo che la premonizione che avevo avuto sulla morte durante il parto si sarebbe avverata sul tavolo operatorio, ma misi subito da parte questi timori. Volevo solo che il dolore e l'incubo finissero.
Rich e io firmammo felicemente i documenti, con tutte le clausole di esclusione di responsabilità, che davano all'ospedale il permesso di fare l'intervento. Le infermiere mi prepararono per l'intervento e pensai che mi sarei diretta verso la sala operatoria quando la “natura” e la gravità decisero di cambiare il resto della mia vita. Il bambino cambiò posizione, non fu un movimento gentile, ma di una svolta “senza esclusione di colpi, a tutto campo, sventolando bandiere, alzati e vai avanti”. Questo movimento è stato così violento che potevo vedere e sentire le smagliature che si formavano sul mio addome gonfio. Questo bambino voleva uscire e voleva uscire subito! L'unico vero problema era che non aveva un passaggio sicuro per uscire. Mentre il bambino cercava di spingere la testa attraverso l'apertura troppo piccola di quattro centimetri, il flusso di sangue al cervello veniva interrotto. La sua frequenza cardiaca era aumentata a dismisura. Il suo cervello, affamato di ossigeno, costringeva il cuore a battere sempre più velocemente nel tentativo di mantenersi in vita, ma in realtà il bambino stava morendo. E ora stavo morendo anch'io.
Tutto d'un tratto, sentii il mio corpo entrare in una modalità di dolore e panico . La mia mente diceva al mio corpo di rallentare e di stare calmo, ma il mio corpo non mi ascoltava. Non riuscivo a fermare il mio corpo che cercava di passare al doppio tempo, lottando per salvare il bambino che aveva nutrito e protetto per oltre nove mesi senza alcun risultato. Stavo lottando anche per salvare il mio corpo. Il mio corpo aveva preso il comando e la mia mente e la mia forza di volontà erano rimaste fuori dal giro. Il risultato è stato che io e il mio bambino non ancora nato stavamo morendo e non potevo farci nulla.
Tutto ciò che stava accadendo intorno a me divenne panico e confusione e tutto stava accadendo “ORA”!I Subito la stanza divenne un luogo frenetico di attività, quando è stata messa la mascherina d’ossigeno sulla mia faccia e mi fu spiegato come respirare per evitare l’iperventilazione, io ovviamente andai in iperventilazione, mi fu detto che l’ossigeno aggiunto era per il mio bambino perché stava avendo dei problemi di insufficienza respiratoria.
Cercavo di non entrare in panico, non avevo fortuna , mi dicevo di restare calma ma a quanto pare invano , ero all’apice del panico, era come se io fossi nel mezzo di un film dell’horror tranne per il fatto che io stavo osservando e partecipando contemporaneamente e che tutto intorno stava andando a velocità doppia.
Fui portata velocemente non nella sala operatoria ma in quella dei raggi X, dove l’incubo continuò.I medici (ora ne avevo più di uno) mi dissero che dovevano vedere cosa stava succedendo dentro di me, quindi la radiografia era estremamente necessaria. Non passò molto tempo prima che si scoprisse che non c'era alcuna speranza per me di avere un parto normale. In realtà non c'era mai stata alcuna speranza. La radiografia mostrò che ero dilatata di dodici centimetri, solo Dio sapeva da quanto tempo, ma con una deformità. Ero dilatata solo di quattro centimetri al centro e di dodici centimetri su ogni lato, come un otto. Il medico non era mai riuscito a sentirlo.
I medici mi informarono che anche la mia speranza di un parto cesareo era fuori discussione. I medici erano ormai impegnati in una lotta disperata per evitare che il mio corpo esausto andasse in shock. Si trattava di uno shock dal quale non ci sarebbe stato alcun recupero. La decisione degli esperti fu unanime. La mia prognosi era andata di male in peggio. Non c'era modo di far nascere mio figlio nel modo normale, quotidiano e casalingo, né, concordavano tutti, avrei potuto sopravvivere a un'operazione. Mi trovavo davvero tra l'incudine e il martello.
L'opinione finale dei medici era che la mia unica speranza di uscire viva da questa esperienza era quella di far abortire il mio bambino. Mi spiegarono questo processo con grandi e raccapriccianti dettagli. Mi avrebbero tranquillizzato, ma non addormentato. Sarebbe stato una sorta di sonno crepuscolare, mi spiegarono. Anche il nascituro sarebbe stato tranquillizzato con un'iniezione in testa. Quando entrambi fossimo stati tranquilli e calmi, avrebbero tagliato il bambino in sezioni e lo avrebbero fatto nascere per via vaginale, a pezzi, nella speranza di convincere il mio corpo che stavo avendo un parto normale. Non potevo immaginare come potevano dirmi queste cose, solo il pensiero di una cosa del genere mi avrebbe scioccato, ma dovevano darmi tutte le informazioni cosi che io potessi firmare il documento per poter procedere.
Questa procedura non era priva di rischi. Se fossi andata in shock per la morte del bambino, si pensava che non sarei sopravvissuta. Le mie possibilità di sopravvivere a questo aborto erano solo cinquanta e cinquanta, ma la vita del bambino era persa. Non erano buone probabilità per una donna che aveva iniziato questo viaggio giovane, forte e in salute. Le probabilità erano pari a zero per il bambino a termine, una volta forte e sano, che stava lottando per la sua vita con battiti cardiaci sempre più frequenti.
Lo specialista incaricato iniziò a spiegarmi (in percentuali) la gravità della situazione in cui mi trovavo. Il parto cesareo era ormai escluso al cento per cento. Ero troppo debole per sopravvivere all'intervento. Era stato stabilito che c'era più del settantacinque per cento di possibilità che il mio corpo andasse in shock mentre ero sul tavolo operatorio prima che potessero rimuovere il bambino. Se fossi andata in shock, sarei morta. Avevo ancora forti contrazioni e questo era problematico in qualche modo che non capivo. La possibilità che il bambino vivesse fino al completamento dell'intervento era del cinque per cento o meno.
Con la voce monotona e professionale che tutti i medici sembrano assumere quando si sentono impotenti, continuarono a spiegarmi solennemente le altre opzioni disponibili sotto forma di percentuali e statistiche. Venticinque per cento di possibilità per me, il bambino zero per cento o cinquanta per cento per me, il bambino zero per cento. Le percentuali si confondevano, ma quella che continuava a emergere era che il bambino aveva preso la pagliuzza più corta e aveva poche o nessuna possibilità.
All'improvviso mi sembrò che tutti parlassero a bassa voce e sottovoce, come se qualcuno fosse già morto. In realtà, questo non era lontano dalla verità. Dentro di me stavo morendo a pezzi e bocconi ad ogni sillaba e percentuale sussurrata. Mi stavano costringendo ad accettare la possibilità che uscissi viva dall'ospedale con un mero cinquanta per cento di probabilità, e per questo dovevo accettare che uccidessero il bambino.
La necessità della procedura mi rendeva furiosa e terrorizzata, ma sembrava anche ragionevole e ben ponderata, date le circostanze. Non mi piaceva, ma sembrava che non ci fosse altra soluzione. Volevo che tutto questo incubo finisse. Volevo che il dolore finisse. Volevo che la mia paura sparisse. Volevo vivere.
Tutti i medici erano d'accordo sul fatto che il processo di aborto avrebbe potuto funzionare per salvarmi la vita, se e solo se fosse iniziato immediatamente e con grande rapidità. Il tempo era fondamentale. Mi sentivo come se mi stessero spingendo verso un precipizio senza che nessuno potesse rivolgersi a me con una mano gentile per tirarmi indietro. Avevo una sala d'attesa piena di persone che mi amavano a cui rivolgermi, ma non avevo mai pensato a loro. Ora mi sembra così strano. I medici mi spiegarono che il bambino, pur essendo ancora vivo, era in realtà cerebralmente morto a causa della mancanza di ossigeno al cervello. A tutti gli effetti, dissero: “Il bambino è già morto”, ma anche se avessero aspettato il breve tempo necessario perché il bambino morisse davvero, con ogni probabilità sarei morta anch'io. Non c'era tempo per aspettare. Avevo già intuito questa possibilità.
Mi sono stati portati i documenti da firmare e sono stati fatti i preparativi. La velocità”, mi dissero, ‘è fondamentale’. Dovevano iniziare subito e dovevano fare in fretta. Un minuto sprecato significava un punto percentuale in più sul mio già basso punteggio di sopravvivenza.
A quel punto della mia vita non ero mai stata contraria all'aborto per salvare la vita di una madre. Quello che i medici suggerivano non era irragionevole. Ero tormentata dal dolore e da una paura quasi incontrollabile e stavo già soffrendo per il mio bambino. Il mio corpo era oltre l'esaurimento. Volevo essere al sicuro. Volevo andare a casa. Volevo solo che tutto finisse. Avrei fatto di tutto per farlo smettere! Non volevo prendere questa orribile decisione, ma dovevo farlo. Poi i medici avrebbero fatto il resto. Tutto ciò che i medici avevano bisogno da me era un SÌ, o solo un cenno della testa e un piccolo scarabocchio su un pezzo di carta. Avrebbe dovuto essere così facile. Non lo è stato. Volevo dire si solo per finire quell calvario ma come potevo prendere quella decisione con cosi poco tempo di preavviso? Volevo che fosse un altro a prendere la decisione e sollevarmi da quell terribile peso.
Iniziai a pregare. Volevo che Dio prendesse la decisione per me. Ma i medici volevano sentirla dalle mia labbra, ‘per piacere Dio’, era tutto quello che potevo pregare prima di essere spinta con forza a dare una risposta e firmare il documento.
La decisione fu presa. Avrei dato l’unica risposta possibile per quel tipo di situazione, e lasciare che la procedura iniziasse. Le parole uscirono dalla mia bocca cosi dolcemente che mi suonavano ( e cosi anche a tutti quelli presenti nella stanza) come un NO, quello fu proprio strano, quella non era la parola che io avevo formulato nella mia testa! Io intendevo dire SI!
Ho sentito di nuovo la parola "no" formarsi nella mia mente, era circondata dalle parole aspetta, fede, non temere, prega... Avevo sentito abbastanza. Ho capito subito che la mia preghiera era stata ascoltata ed esaudita! Mi è stata data la consapevolezza che la risposta era "No". Dio aveva preso la decisione e Dio non voleva che uccidessi mio figlio. Ciò ha messo in atto la mia testardaggine. Dio e la mia mente avevano preso una decisione e tutto andava bene. O almeno pensavo che andasse tutto bene.
Potevo sentire il panico e la paura dissolversi dentro di me. Non avevo sentito tutte le parole chiaramente e la mia comprensione di tutto ciò che mi veniva chiesto di fare non era esattamente cristallina, ma sapevo di non essere sola in questa orrenda decisione. Sapevo che sia io che il bambino saremmo stati al sicuro in qualche modo. Ciò che non sapevo in quel momento era che per essere al sicuro avrei dovuto morire e morendo la mia vita sarebbe cambiata per sempre. Le lacrime che cominciarono a scorrere non provenivano dal mio dolore ma erano di sollievo, il dolore era stato rimosso dal mio cuore. Questo ‘NO’ pronunciato non apparteneva a me, proveniva da un qualche posto al di fuori della vita ma tuttavia era stato pronunciato attraverso la mia bocca e sentivo gioia. La decisione era stata e il processo decisionale mie era stato rimosso.
Questa presenza mi ha accompagnato per darmi coraggio mentre rispondevo con più forza e convinzione. La mia risposta ora non era più un debole sussurro. La mia risposta è stata un testardo e tumultuoso "NO"!
Quella parola "NO", che solo un attimo prima mi era sembrata così estranea, fu uno shock totale per i medici. Non potevano credere a quello che stavo dicendo. Come poteva una persona sana di mente confutare ciò che loro, come medici esperti, avevano detto in modo così eloquente? "No" non era per loro una risposta accettabile. Superando lo shock iniziale, cominciarono a parlare. Questa volta hanno parlato con un po' meno simpatia e molta più autorità. I medici esperti erano convinti che evidentemente non capivo che sarei morta se non avessi accettato di sottopormi immediatamente a questo intervento. 'Accettare i fatti' hanno detto, 'Il bambino è un vegetale e non c'è più niente che nessuno possa fare per il bambino. Pensa alla tua vita." Mi fu detto. Ho dovuto lasciare che i medici mi salvassero. Potrei avere più figli se vivessi questa dura prova. Volevano salvarmi, dovevano salvarmi, ma non potevano fare nulla a meno che non avessi dato loro il permesso di procedere. Poi mi hanno detto che mio marito e la mia famiglia erano già d'accordo con la loro decisione. Mio marito sapeva qual era la cosa giusta da fare e aveva già firmato i documenti e ora devo sentire ragioni e firmare anch'io i documenti. Non ero convinta. Non mi tangeva, ero testarda.
La pace interna che riempiva il mio intero essere ci calore mi aveva dato la risposta ed era l’unica risposta che potevo accettare da li in poi.Il dado era tratto e ora stavano parlando con una pietra.
A quel punto I medici iniziarono a parlare sempre più veloce riguardo al bambino, ripetendo la parola ‘vegetale’ e ‘cerebralmente morto’. Poi, quando uno specialista in particolare ha iniziato a picchiarmi, ho girato la testa per stabilire un contatto visivo con il mio personale O.B.G.Y.N. Lo supplicai silenziosamente di aiutarmi. Stavo piangendo più forte che mai. Provavo un vero panico all'idea che questi medici potessero tagliarmi il bambino senza il mio permesso. Lo avrebbero potuto fare? Avevo più paura che mai. Potevo di nuovo sentire che cominciavo a farmi prendere dal panico, ma questa volta per una ragione completamente diversa. Sorprendendo tutti nella stanza, me compresa, improvvisamente ho gridato a tutti di uscire e lasciarmi in pace! Non ero mai stata così scortese in vita mia ma ha funzionato e tutti se ne sono andati, con grande riluttanza, ma mi hanno lasciata in pace. Il mio medico personale è tornato silenziosamente in sala travaglio. Si sedette sul bordo del mio letto e con toni dolci cominciò a confortarmi. "Nessuno", mi assicurò, "farà nulla senza il tuo esplicito permesso". Sollevata di avere almeno un medico dalla mia parte, ho cominciato a rilassarmi e molto lentamente il panico ha cominciato a placarsi ma le mie lacrime no. "Non lascerai che uccidano il mio bambino, vero?" ho chiesto in lacrime. Avevo ancora preoccupazioni. Avevo paura che avrebbero chiamato un giudice in fretta per fargli firmare un documento del tribunale per far uscire il bambino da me a pezzi senza il mio permesso perché ritenevano che io ero pazza o incompetente o chissà che altro. (guardo troppa tv..)
'No, certo che no,' ripeteva il mio medico. Poi lui, con la sua non velata frustrazione mi chiese 'cosa vuoi che faccia io ora?'
* * *
Cosa volevo che facesse il dottore? Cosa avrei dovuto fare? Adesso dovevo pensarci! Non sapevo davvero cosa fare riguardo a qualsiasi cosa. Non riuscivo a sentire la voce nella mia testa che mi diceva qualcosa su cosa avrei dovuto fare adesso. Solo qualcosa sull'attesa. Se solo avessi aspettato, sarebbe successo qualcosa e io e il bambino ne saremmo usciti bene. Cosa avrei dovuto dire a questo giovane medico sul cui volto l'impotenza sembrava essere ora l'espressione principale? Dio mi perdoni se te lo chiedo, ma dov'era la voce adesso? 'Ancora niente!' Non riuscivo a pensare ad altro da dire, quindi ho deciso di dire la verità. Ho fatto un respiro profondo e ho detto: "Aspetterò e vedrò cosa succede". Non volevo dire al dottore che una voce mi diceva di aspettare. Non potevo dire a questo dottore che il "No" pronunciato la prima volta non era nemmeno la mia voce, vero? Ovviamente non potevo farlo. Penserebbe che sono pazza. Avrebbe portato un tipo di medico (psichiatra) completamente diverso nella mia stanza e molto probabilmente l'aborto sarebbe avvenuto senza il mio permesso. "Non chiedono ai pazzi cosa vogliono!" Ho pensato. Dall'espressione addolorata del dottore potevo capire che voleva molto di più della risposta che gli avevo appena dato. Molti pensieri confusi mi attraversavano la mente. L'ultimo dei quali era ciò che sarebbe successo o avrebbe dovuto accadere affinché la mia vita potesse andare avanti. In verità, ciò che uscì dalla mia bocca era al tempo stesso incerto e confuso, ma semplice. Dovevo dire qualcosa di logico, quindi ho detto la cosa più logica che potevo pensare in quel momento. "Se dovessi morire prima io, allora voglio che tu faccia tutto il necessario per salvare il mio bambino e se il bambino muore prima, allora puoi fare tutto il necessario per salvarmi. Inteso?' Sono riuscita a dirlo al dottore. Stranamente appena dette quelle parole quella idea non sembrava male, perlomeno, vista la situazione, non a me. Suonava logica. .Sia nella mia mente che nel mio cuore sapevo che il mio bambino ed io saremo sopravvissuti a tutto. Sono sicura che questo è ciò che la voce disse: 'tutto andrà bene,' anche se non l’ho sentita in quel modo.
Stavo rischiando la mia vita, non mi sentivo pazza! Sapevo solo che saremmo sopravvissuti. Ogni volta che mi ripetevo questo la fiducia aumentava e la mia volontà cresceva pian piano.
Il mio diligente medico, senza mai staccare gli occhi dai miei, cercò tranquillamente di spiegarmi cosa gli chiedevo. Per lui la mia idea non era così semplice o logica come sembrava a me. Mentre tornava alla retorica ormai familiare di spiegare procedure mediche, fatti e cifre, queste iniziavano a divertirmi. Era così preoccupato per me. Avrei voluto potergli fornire una spiegazione sufficientemente ragionevole per eliminare la sua ansia, ma non potevo. Non volevo causare molte scocciature, ma questo è esattamente quello che stavo facendo e ora lo stavo facendo alla grande.
In sostanza quello che disse (nascosto nella terminologia medica) era che stavo per morire. Il medico ammetteva che non avrebbe potuto salvare né me né il bambino se avessi aspettato ancora a lungo per prendere la decisione giusta. Aspettare non avrebbe cambiato nulla. Se il bambino fosse morto prima, sarei morta anch'io. Alla morte del mio bambino non ancora nato il mio corpo sarebbe andato in shock e sarei morta, mi disse. Se fossi morta prima, c'erano pochissime possibilità che potesse portare via il bambino prima che morisse anche lui. Alla morte, il mio sangue, che manteneva a malapena in vita il bambino, avrebbe smesso di scorrere e il bambino sarebbe soffocato prima che si potesse fare qualcosa al riguardo. Sganciata questa notizia bomba fece del suo meglio per abbassare I toni concludendo la conversazione con, 'ma farò il meglio che posso.'
Gli dissi che non mi aspettavo niente di più e niente di meno da lui.La testa del dottore oscillava fra la frustrazione e nel dolore, non saprei dire quale delle due. ‘Allora aspettiamo?’ fu la risposta del dottore e con queste parole lasciò la stanza.
* * *
Il dolore che soffrivo da giorni non era più sporadico ma costante e crescente di intensità. Non era quello il momento in cui volevo sapere che avevo una soglia del dolore alta. Prima di questo avevo sempre pensato che un essere umano potesse sopportare solo così tanto dolore e poi sarebbe svenuto. Questo è quello che avevo visto nei film. Si sbagliavano! Ho aspettato di svenire. Ho pregato di svenire ma tutto invano.
Da questo punto in poi non è stato un grande passo iniziare a mettere veramente in discussione la mia sanità mentale. Confidavo in voci che in realtà non sentivo molto chiaramente. Non accettavo gli antidolorifici che il medico, di cui potevo fidarmi, era disposto a darmi per alleviare il mio tormento. Ero pazza? Chi ero io per dire a professionisti medici altamente qualificati che si sbagliavano? Devo essere fuori di testa dal dolore. Questi erano i miei pensieri ma l'ultimo pensiero era sempre che dovevo aspettare. Iniziai a meditare. Inizia a prendere il dolore e spostarlo fuori dal mio corpo sul pannello del soffitto che ora conoscevo molto bene. Contavo le macchie e le tracce d'acqua che rompevano il monotono bianco del soffitto.
Durante tutto questo potevo sentire altre donne, in diverse fasi del travaglio, alcune urlare di dolore, andare e venire in altre stanze del travaglio. Io sono rimasta. Stavo diventando molto scoraggiata e perdevo parte della mia fiducia e determinazione.
Il mio medico deve aver conferito con qualcun altro perché poco tempo dopo è venuto con un suggerimento. C'era un'iniezione che poteva fare direttamente nella mia cervice e che, come aveva promesso, non sarebbe entrata nel sistema del bambino, ma che avrebbe comunque potuto alleviare un po' del dolore che stavo provando. Non ha garantito nulla ma ha detto che valeva la pena provare. Ho accettato di provarlo. Questa è stata una piccola vittoria per il dottore. Se ne andò con l'aria più felice di come lo vedevo da un po'.
Feedback Il medico sperava di tenermi in vita abbastanza a lungo da poter prendere una decisione per l'aborto e speravo che questo avrebbe alleviato un po' il mio dolore mentre aspettavo.
Mentre il medico mi aiutava a mettermi nella posizione scomoda in modo da potermi fare questa iniezione, gli ho chiesto se mi stavo comportando come una bambina per tutto questo dolore. Stavo ascoltando una donna nella sala travaglio accanto soffrire così tanto che stava urlando di dolore. Ho dovuto ammettere al dottore che le sue urla mi stavano facendo impazzire. Ho chiesto al medico se poteva dare alla povera donna qualcosa per aiutarla. Lui ha riso e mi ha detto che la donna della porta accanto era in travaglio con il suo terzo figlio ed era sempre una urlatrice. Mi ha detto che non ero una bambina. Che stavo sopportando molte volte il dolore di un parto normale. In qualche modo sapere che non stavo esagerando o immaginando il dolore mi ha fatto sentire meglio. Rendeva il dolore più facile da sopportare. Dopo che il medico mi fece l'iniezione, lo sentii entrare nella stanza della signora che urlava e, non così gentilmente, le chiese ad alta voce di "fai piano, c'è una signora che sta morendo nella stanza accanto". "Oh, va bene", fu la risposta della donna. Dopo non ho sentito più urlare.
Ho dovuto ammettere che il farmaco in effetti ha eliminato parte del dolore. Dato che il medico lavorava ogni paio d'ore per posizionare l'ago proprio sulla mia cervice, la conversazione era scarsa o nulla. Sembrava che fossimo entrambi in modalità di attesa. In qualche modo stavo aspettando che il bambino nascesse. Il dottore aspettava di sentire solo una cosa da me, che avevo finito di aspettare ed ero pronta a procedere con l'aborto come avevano suggerito i medici. Non c'era spazio per nessun'altra conversazione. Durante questo periodo di attesa e dolore mi sono ritrovato a meditare su tutti gli aspetti della stanza. Ho contato più e più volte i pannelli acustici del controsoffitto e i buchi che lo coprivano. Ascoltavo i rumori e memorizzavo gli odori. Ho provato il mio marchio di meditazione non confutato. Mi sono concentrata sul trasferire il dolore fuori dal corpo e su quei noiosi pannelli del soffitto ancora e ancora e ancora, spingendomi quasi in trance. Stavo facendo qualsiasi cosa e tutto quello che potevo per non concentrarmi sul dolore. Ho iniziato questo processo più e più volte. Mantenere la mia mente così completamente concentrata lontano dal dolore non mi ha lasciato alcuna apertura per pensare ad altro. Sapevo che il dolore mi avrebbe uccisa, quindi dovevo concentrarmi lontano dal dolore e dalla paura. Questo era lo stesso trucco che usavo quando dovevo andare dal dentista e farmi otturare un dente. Ho dovuto concentrarmi lontano dal dolore e dalla paura e mettermi da qualche altra parte per perseverare. Tutti quei giorni trascorsi dallo studio del dentista qui stavano dando i loro frutti. Non pensavo a mio marito, alla famiglia o agli amici. Non pensavo al bambino. Non contemplavo la vita o la morte. Non ho pregato e nemmeno considerato Dio. Non ho fatto altro che restare sdraiata su quel letto marcio per ore e ore concentrandomi su quei pannelli acustici grigio/bianchi del soffitto che riempivano tutti i loro minuscoli buchi con il mio dolore.
Questo era il mio modo di affrontare la situazione. Questo era il mio metodo per mantenermi sana di mente. Questa era la mia speranza di rimanere in vita finché non mi fosse stata data la risposta a qualche forma di salvezza promessa. Concentrarmi e rimanere in vita era il mio unico obiettivo finché la prossima iniezione non mi avrebbe dato un po' di sollievo dall'incubo del dolore.
Non avevo il senso del tempo. Le infermiere andavano e venivano e io non avevo quasi niente da dire mentre controllavano i miei segni vitali. Il dottore andava e veniva e controllava che io e il bambino fossimo ancora vivi. Sono rimasta in silenzio con gli occhi aperti e ho lavorato per rimanere in vita.
Ho detto al mio corpo che non c'era dolore perché il dolore apparteneva tutto al soffitto e quella era tutta la forza che avevo in me. "Devi aspettare ancora un po'." Continuavo a ripetermelo. Ma in realtà il dolore era diventato così potente e costante che c'erano momenti in cui mi sentivo come se non potessi nemmeno respirare. Sentivo che sarei impazzita. Ora mi sono ritrovata a dover aggiungere un altro elemento su cui concentrarmi. Ho aggiunto il semplice atto di respirare.
Nel profondo della mia mente cominciai a cantare le parole che la voce mi aveva dato: 'Aspetta, fede, non temere, prega.' Nel profondo della mia mente cominciavo a sapere che stavo combattendo una battaglia persa, ma non potevo arrendermi o arrendermi ora che avevo iniziato la battaglia. Il tempo passava molto lentamente, o almeno così sembrava, fino allo scadere del tempo. Consapevole che il Dottore era entrato nella stanza, ero più che pronto per la prossima iniezione. Stavo aspettando ancora una volta che il medico mi somministrasse il farmaco quando mi sono resa conto che stava impiegando troppo tempo. Alzai lo sguardo e notai subito che il dottore non poteva incontrare i miei occhi. C'era qualcosa in più che non andava e il pensiero mi fece stringere lo stomaco per lo stress ancora maggiore. Il medico mi spiegò molto semplicemente che non poteva più farmi le iniezioni. Avevo raggiunto il limite. Continuare le medicine mi avrebbe ucciso e l’ospedale non gli avrebbe più permesso di somministrarmele.
L'ironia non mi è sfuggita! Stavo morendo e LORO non volevano fare nulla che potesse uccidermi "prematuramente". Non volevano che sul mio referto dell'autopsia si leggesse "morte per overdose di farmaci somministrati in modo improprio".
Il dottore si sedette sul bordo del mio letto e mi spiegò i fatti. Non era affatto contento di darmi l'informazione ma è stato breve, franco e diritto al punto. Secondo lui mi restavano forse due o tre ore di vita. Al massimo non sarei sopravvissuta a tutta la notte. Senza le iniezioni per alleviare il dolore, sentiva che presto avrei cominciato a sperimentare l'intero impatto del dolore. Questo di per sé metterebbe il mio corpo in stato di shock e, molto semplicemente, mi ucciderebbe. Non c'era niente che lui o l'ospedale potessero fare adesso. Niente! Gli ho chiesto se un cesareo fosse fuori discussione. Mi stavo aggrappando agli specchi. Il medico ha detto che l’intervento chirurgico era completamente fuori questione. Se mi tagliassero, lo shock mi ucciderebbe. L'unica cosa che mi restava da fare era... morire!
* * *
Devo ammettere che a questa notizia non mi è venuto in mente niente da dire. Cosa potrei dire? 'OK, capisco quello che stai dicendo ma non è quello che succederà!' Stavo pensando questo ma non c'era modo di dirlo.
Finora quello che era successo non era esattamente quello che mi aspettavo. Fino a quel momento non sapevo davvero cosa sarebbe successo, ma la morte non rientrava nemmeno lontanamente nel patto che avevo stipulato in questo. Avrei dovuto aspettare e lavorare duro per rimanere in vita, poi sarebbe successo qualcosa e tutto sarebbe andato bene. Mi aspettavo solo che l'intera faccenda si risolvesse correttamente e in meglio. Quello ero io. Sono stata una Grande Ottimista fino alla fine. Il mio motto fino a quel momento era fare quello che mi veniva detto, lavorare molto duramente e fare meno storie possibile. Se avessi fatto tutto questo, tutto sarebbe andato bene. Bla! Bla! Bla! Non ero pronta ancora per rinunciare a vivere.
Non avevo ancora visto la scritta sul muro ma non potevo dirlo al dottore. Anche se non ero pronta a gridare "zio" e a sdraiarmi e morire, si stava formando una fessura nella mia armatura.
La stanza era molto silenziosa e nessuno diceva nulla. Avevo la sensazione che tutti gli occhi fossero puntati su di me e che ci si aspettasse da me un brillante discorso sulla morte. Avevo bisogno di rompere il silenzio. Per qualche tempo, un'infermiera vegliava silenziosamente accanto al mio letto. Mi sono rivolta a lei chiedendole: "Fuori che tempo fa?". Le chiacchiere sono sempre un buon modo per rompere il ghiaccio. In passato mi ero chiesta come sarebbe stato il tempo il giorno della mia morte, quindi la domanda non era priva di fondamento.
Mi sono ricordata di quanto fosse strano quando il presidente Kennedy morì nel 1963. Per giorni dopo la sua morte il tempo divenne piovoso e cupo, proprio come se tutte le persone nel mondo piangessero e avessero riempito il cielo, così il cielo piangeva con noi. Adesso cominciavo a sentirmi melodrammatica. Quei giorni non potevano essere reali, mi sarei svegliata presto. Ricordavo di aver pensato in quei giorni cupi del 1963 che avrei voluto che il giorno della mia morte fosse soleggiato, luminoso e caldo se non altro per rendere la giornata più facile per la mia famiglia. Ora quel giorno poteva essere quello in cui scoprire se il mio pio desiderio si fosse avverato tanti anni dopo. Ho chiesto all'infermiera del tempo. Lei rispose dolcemente. Ha detto che quando era arrivata per iniziare il turno pioveva. "Quindi non posso nemmeno morire in una giornata di sole!" Questi erano i miei pensieri deboli di mente. "Che brutto che io possa morire in un giorno piovoso." Non avevo mai pensato allora del giorno in cui avrei potuto morire, quindi quella fu la domanda successiva che mi uscì di bocca. Ho chiesto l'ora. L'infermiera guardò l'orologio: "Sono le nove", fu la sua risposta. Ho lasciato che la cosa girasse un po' nella mia mente. Poi mi resi conto che non sapevo se fosse giorno o notte. «Ma è giorno o notte?» Questo è stato il mio pensiero successivo. Avevo perso la cognizione completa dei giorni e tanto meno del tempo.
La stanza era così silenziosa che si sarebbe potuto sentire cadere uno spillo. Ma ho dovuto fare la domanda. "Scusate ma potete dirmi se sono le nove di mattina o le nove di sera?"
Per la prima volta da molto tempo distolsi lo sguardo dai pannelli del soffitto e guardai davvero il volto dell'infermiera. Fu allora che mi resi conto che stavo piangendo e che questo paziente Usignolo aveva tentato di asciugarmi le lacrime con un fazzoletto. Ho guardato negli occhi dell'infermiera pieni di grande simpatia mentre mi dava dolcemente la mia risposta.
Feedback 'Sono le nove di sera', ha detto. Rapidamente e deliberatamente l'infermiera distolse gli occhi da me, ma non abbastanza presto. Ho sentito un suono lugubre uscire dalle labbra dell'infermiera mentre si scusava velocemente e in tutta fretta lasciava la stanza in lacrime. Il medico si è subito scusato per l'infermiera che mi aveva detto che la sua reazione era stata molto poco professionale. Mi sono arrabbiata con lui per la sua mancanza di simpatia.
Il mio cuore quasi scoppiò dal dolore per l'infermiera. Avevo fatto perdere la pazienza a questa povera infermiera professionista di fronte a un paziente, io. E questo dottore non aveva alcuna compassione per lei. Erano tutte regole e regolamenti da parte sua. "Che tristezza", ho pensato. E ora mi faceva male il cuore per questo dottore di cui dopo tutto questo tempo non sapevo nulla. Qui volevo solo avere un bambino senza complicazioni. Cavolo, stavo rovinando tutto questo.
In un attimo il medico si arrabbiò perché l'infermiera aveva perso la sua professionalità mostrando le lacrime al paziente e lo disse. Ho interrotto le sue critiche dicendogli che andava tutto bene. Ho capito. Ma poi ho cominciato a provare rabbia per tutta questa situazione che era andata così seriamente storta.
Feedback
Ero una donna sana che stava per morire di parto negli Stati Uniti d'America. Fino a quel momento ero abbastanza ingenua da credere che questo tipo di morte non sarebbe mai più avvenuta. Ho continuato a piangere aggiungendo le lacrime dell'innocenza perduta alla crescente raccolta di perdite.
Il dottore ancora non riusciva a guardarmi in faccia. Credevo che se l'avesse fatto, le sue stesse lacrime lo avrebbero sopraffatto. Non poteva permettere che le sue lacrime fossero viste da me. Non poteva guardarmi in faccia mentre si sedeva sul mio letto accanto a me. Non ha parlato ma non ha nemmeno lasciato la stanza. Noi due siamo rimasti chiusi in silenzio per molto tempo.
Ho cominciato a studiare quest'uomo che non avevo mai guardato da vicino fino a quel momento. Il dottore sembrava stanco quanto mi sentivo io. Egoisticamente non avevo pensato a ciò che quest'uomo stava passando. Stava perdendo una paziente durante il parto. Sembrava più vecchio e più piccolo di quando ci eravamo riuniti per la prima volta per condividere questa lunga prova. Quest'uomo dalla grande forza di volontà ora stava lottando per tenere sotto controllo le proprie emozioni prima di fidarsi di se stesso per parlare, quindi ho aspettato.
Alla fine il medico, sotto una facciata instabile di controllo, pronunciò il discorso che aveva preparato. «Ci sono un sacco di persone nella sala d'attesa che vogliono vederti. Alcuni di loro sono qui da un bel po'. Normalmente è contro le regole ospedaliere permettere a chiunque non sia il marito di entrare nella sala travaglio, ma farò entrare nella tua stanza tutta la tua famiglia e i tuoi amici in modo che possano stare con te.'
Il dottore non ha detto che avrebbe portato la mia famiglia e i miei amici nella mia stanza per vedermi morire, ma quello è stato il fulmine che ha colpito la paura nel mio cuore. Non volevo che nessuno mi vedesse in questo tipo di dolore e sofferenza. Non mi è mai piaciuto che qualcuno mi vedesse piangere e tanto meno che si sedesse e mi guardasse morire. Mi si sono rizzati i capelli sulla nuca e mi è venuta la pelle d'oca su tutto il corpo. Sentivo il panico sollevarmi nel petto come una cosa viva. Non potevo sopravvivere vedendo gli altri soffrire a causa mia. ' NO!' Ho gridato: "Non voglio che nessuno entri nella mia stanza adesso!" Il pensiero di tutte quelle persone che amavo piangere o cercare di non piangere mentre mi guardavo cercare di controllare il mio pianto avrebbe fatto molto più che uccidermi. Mi darebbe il dolore e la sofferenza peggiori di tutti.
Avevo provato per tutta la vita a non causare dolore ad altre persone e ora il pensiero di causare così tanta agonia era più di quanto potessi sopportare. Non ho avuto il coraggio di farlo.
Ho dovuto affrontare il fatto che fino a quel momento non avevo pensato a nessun altro se non a me stessa. Avevo sentito una voce sussurrata dire "aspetta" e avevo intrapreso la mia crociata senza nemmeno dire loro cosa stavo cercando di fare o perché. Ci pensavo adesso e il dolore che si stava formando al centro del mio petto minacciava di soffocarmi. Ho dovuto ingoiarlo e tenerlo sotto controllo in modo da poter pensare a cosa fare dopo e poter vedere questo evento fino alla fine.
Non potrei farlo se fossi circondata da familiari e amici ben intenzionati ma sofferenti. Vivere o morire, qualunque fosse il motivo per cui sapevo di dover continuare a combattere questa battaglia da sola. In un modo o nell'altro la battaglia sarebbe finita presto. Avevo fiducia in questo.
Non ho nemmeno provato a spiegarlo al dottore. Ho solo detto che non volevo che nessuno nella mia stanza mi guardasse morire. Per fortuna sono riuscita a sembrare abbastanza energica da non far discutere il dottore. Voleva solo sapere cosa volevo che facesse adesso. "Voglio che tu mi tolga di dosso tutta questa roba!" Ho detto, guardando la maschera, gli aghi e i dispositivi che pendevano e erano collegati al mio corpo. Dopo un lungo sguardo tranquillo, fece un lieve cenno del capo e cominciò a mettermi a mio agio. Il dottore ha rimosso tutta la tecnologia dal mio corpo e mi ha aiutato a sistemarmi più a mio agio nel letto. Mi ha fatto sentire di nuovo libera.
Quando il dottore ebbe finito di farmi sentire e sembrare di nuovo vicino all'essere umano, si sedette di nuovo sulla sedia accanto al mio letto, giunse le mani e chinò la testa come in preghiera. Ho aspettato che parlasse e poi ho capito cosa stava facendo, ma avevo bisogno di sentirlo dalle sue labbra, quindi gliel'ho chiesto. La sua risposta fu semplice. Sarebbe rimasto con me ogni minuto finché non fossi morta. Fine della storia.
Sebbene fosse un pensiero carino, a quanto pare non faceva parte del piano, perché mi faceva arrabbiare. Ho iniziato un lungo discorso che proveniva da una parte di me rimasta nascosta per molto tempo. "Tom", dissi, "sei un brav'uomo ma sei proprio questo, un uomo!" Non sei Dio! Hai fatto tutto quello che potevi per me e ora la cosa è fuori dal tuo controllo. Voglio che tu vada a casa e stia con la tua famiglia. Dimentica di avermi mai incontrata. La mia vita è nelle mani di Dio adesso. Per favore! -- vai a casa!'
Il dottore non si mosse. Mi guardò semplicemente come se fossi una rana a due teste che aveva appena scoperto nel letto di un paziente. Sembrava sul punto di parlare poi, ripensando a quello che aveva in mente, chinò di nuovo la testa e rimase in silenzio.
Ho iniziato una seconda invettiva: "Ascolta Tom, non mi hai sentito?" vai a casa! Voglio che tu vada via adesso. Non c'è altro che puoi fare per me, quindi torna a casa.' Ho continuato a parlare usando più parole che ho pronunciato più forte e più velocemente. Stavo cercando di convincerlo ad andarsene e non pensavo che avrei avuto fortuna. Era importante che fossi sola. Non ero sicura del motivo per cui avevo bisogno di stare da sola, ma nel mio cuore stare da sola era diventato il mio nuovo campo di battaglia.
Il medico, cercando di riprendere il controllo della situazione, mi disse: "Resterò con te!". Non lascerò che una paziente muoia da sola!' Le parole uscirono lentamente dalle sue labbra tremanti. Potevo vedere che era frustrato e molto arrabbiato con me. Questa è stata un'esperienza difficile da affrontare per lui e l'ho capito. Ma dovevo essere destinata a stare da sola perché la mia testardaggine era forte e non potevo tornare indietro. Sentivo disperatamente il bisogno di essere totalmente sola.
Senza lasciare trasparire la mia disperazione ma mostrando quanto fossi determinata, ho semplicemente detto: "Non sarò sola, Tom, lo prometto". Sentire quelle parole uscire dalle mie stesse labbra mi ha sorpreso. Quest'uomo mi stava dicendo la verità, stavo per morire, ma dovevo credergli? Ho interpretato male o frainteso qualcosa lungo il percorso? Le mie stesse lacrime minacciavano di affogarmi. Per la prima volta ho capito che non sarei stato sola perché sarei stata con Dio. Stavo per morire. Ora sapevo che avevo bisogno di parlare con Dio. Non me ne sarei andata "dolcemente nella notte". Avevo molto da dire a Dio, parole come "ingiusto e ingannevole". Queste erano cose che dovevo dire in privato prima di accettare questa condanna a morte.
«Voglio che tu vada a casa, Tom. Voglio che tu vada adesso. E quando esci spegni le luci e chiudi la porta. Ho bisogno di tempo per prepararmi.' Questo è quello che ho detto al dottore con la voce più strana, più forte e più determinata che sono riuscita a raccogliere tra le lacrime. Odiavo le mie lacrime. Per me erano una debolezza ed era completamente opposto a ciò che stavo cercando di fare.
Stavo dicendo cose che non capivo del tutto. Sapevo solo che quelle parole avevano lo scopo di trasmettere che volevo stare da sola. Era ovvio che il dottore non voleva andarsene. Voleva restare con me, o pregare con me o fare qualunque cosa gli chiedessi purché lo lasciassi restare. Per qualche ragione era pieno di un senso di colpa che non avrebbe mai dovuto sentirsi necessario portare con sé. In qualche modo sono riuscita a convincere il dottore ad andarsene, ma non senza combattere. Ha chiarito che sarebbe stato proprio fuori dalla mia porta nel caso in cui avessi cambiato idea e avessi voluto la mia famiglia con me (o qualsiasi altra cosa del resto). Continuavo a dirgli ancora e ancora di tornare a casa.
Prima che il medico se ne andasse, tolse silenziosamente il pulsante di chiamata dell'infermiera dal supporto sul muro e me lo mise nel palmo della mano. Lo avvolse con le mie dita. "Ora ascoltami, tutto ciò che devi fare è premere questo pulsante e tornerò subito qui, ok?" Bene, allora va bene! Sarò proprio fuori da questa porta. Ricorda che se hai bisogno o vuoi qualcosa io sarò qui. Basta premere il pulsante di chiamata.' Il dottore ripeté più e più volte mentre si dirigeva lentamente e con riluttanza verso la porta.
Vedendo che ero vicina a realizzare il mio desiderio di essere lasciata sola, ho promesso con gratitudine che "farò come dici", ho detto. «Premerò il pulsante di chiamata se voglio o mi serve qualcosa, prometto. Ora, per favore, vattene e spegni le luci. E non dimenticare di chiudere la porta dietro di te.' Alla fine, le luci della stanza furono spente e la porta fu chiusa lentamente dietro il dottore turbato. Ero sola.
Quando la porta si chiuse, la stanza fu immersa nel buio più totale. All'inizio l'oscurità fu uno shock. Potevo sentire la paura e il panico scorrere su di me come una nebbia vivente. Ferma! dissi, cercando di ragionare con me stessa. Non avevo mai avuto paura del buio prima. In effetti avevo sempre trovato l'oscurità confortante e fresca. Il buio era stato per me un amico pacifico. Non avevo intenzione di lasciare che la mia mente trasformasse l'oscurità in un luogo spaventoso per me adesso.
Mi sono guardata intorno lentamente e metodicamente nella stanza che avevo impresso nella mia memoria quando le luci erano accese e non ho visto altro che un'oscurità completa e totale. Lanciai un'occhiata verso la porta chiusa che conduceva nel corridoio e non trovai nemmeno una piccola striscia di luce che usciva da sotto finché i miei occhi non si furono completamente abituati.
Ho alzato la mano e l'ho tenuta proprio davanti agli occhi e finalmente ho percepito l'umorismo nella frase; "Era così buio che non potevi vedere la tua mano davanti alla faccia." Il mio umorismo è tornato. Non ricordavo di essere mai stato in un'oscurità così totale prima. "Che buffo che la mia ultima scoperta prima di morire sia stata l'introduzione dell'oscurità totale." Ho pensato.
Mentre mi calmavo, ho rivolto i miei pensieri alla morte. Non sono riuscita a trovare alcun umorismo in questo. Il dottore doveva sbagliarsi. Non stavo morendo. È stato tutto un grosso errore. Eppure eccomi qui. Ho cercato di ricordare come tutto questo fosse iniziato. Ora, cosa aveva detto la voce? Diceva "aspetta" e qualcos'altro. Dovevo ricordarlo e dovevo ascoltarlo di nuovo per sapere cosa fare. Ci deve essere qualcosa che potrei ancora fare anche sdraiata in questo letto d'ospedale?
"Prega", diceva la voce che gridava nella mia testa. La mia domanda ha ricevuto risposta.
* * *
Non mi sono mai sentita brava a pregare. Se le parole non suonavano come se fossero saltate fuori dalle pagine della versione di Re Giacomo della Bibbia, non mi sembravano mai abbastanza buone. Tuttavia, ero disposto a fare un tentativo. Cominciai a pregare.
Caro Signore, ti prego: sto morendo. Non voglio morire. Vieni da me e guariscimi. Ti prego". Ho pregato ad alta voce e ho sentito la mia voce riecheggiare sulle pareti. Il suono all'inizio mi imbarazzò, ma poi mi diede conforto. Se potevo aprire la bocca e sentire il suono che usciva, ero ancora viva. Avevo bisogno di fare rumore, perché volevo concentrarmi sui suoni, in modo da poter mettere il mio dolore in essi, invece che nel soffitto.
Emettendo un lungo e lento sospiro di delusione, ricordo di aver pensato: "Non funzionerà, sembro così stupida". Mi sentivo a disagio con questo tipo di preghiera e semplicemente non ero io. Decisi di accantonare la preghiera per il momento.
Cominciai a cantare. Cantai fino a quei proverbiali pannelli acustici del soffitto che avevo riempito di tanto dolore. Non erano visibili nel buio, ma sapevo che erano ancora lì ad aspettare che li riempissi con suoni pieni di dolore. Così ho cantato.Avevo sostituito la mia meditazione e la mia concentrazione con il trasferimento del mio dolore in ogni suono. Riempii quindi ogni buco in ogni ombra della stanza. Le parole e le note delle canzoni salirono poi fino al soffitto, attraverso il tetto, fino al cielo e alle orecchie di Dio. Dovevo allontanare il dolore dal mio corpo esausto e tormentato, così ora lo inviavo a Dio.Non avevo trascorso molte domeniche in chiesa nella mia vita, ma avevo imparato qualche canzone (o almeno così pensavo). Gesù ama i piccoli bambini del mondo". Cantai.
Ben presto fu evidente che, pur essendo in grado di iniziare alcune canzoni della scuola domenicale, avevo seri problemi a ricordare tutte le parole, per non parlare della melodia.Concentrarmi sulle canzoni non alleviava il mio dolore. Cantare non mi aiutava! Man mano che il dolore aumentava, diminuiva la mia capacità di ricordare qualsiasi cosa oltre a inspirare ed espirare. Continua a respirare! Continua a respirare! Se stai ancora respirando, sei ancora vivo", ricordai a me stessa.
Ero passata dai canti della scuola domenicale a quelli di Natale, eppure il mio compito non si stava semplificando. Non riuscire a ricordare le parole più semplici delle canzoni di Natale con cui ero cresciuta mi turbava e il mio pianto non mi aiutava a respirare più facilmente. Signore, tu sai cosa c'è nel mio cuore e nella mia mente anche se non riesco a dirlo. Ti prego, Signore, ascolta la mia preghiera!". Parlai alla stanza buia.
Per me era più che ovvio che stavo morendo e che un grande cavaliere bianco non sarebbe entrato in questa stanza lugubre per salvarmi. Ammettere la verità a me stessa è stato schiacciante. Stavo morendo. Avevo difficoltà a respirare, a pensare, a parlare, a ricordare o persino ad alzare la mano per asciugarmi le lacrime dal viso.
Il dolore era diventato così forte che si propagava a ondate su tutto il corpo, dalla testa ai piedi. Ogni onda minacciava di portarmi via da questa vita e di consegnarmi nelle mani della morte, ma io continuavo a lottare, sperando ancora in una sorta di miracolo. Un miracolo che mi sembrava ci fosse stato promesso.
Attraverso una nebbia di dolore mi resi conto di aver smesso completamente di cantare. Sentendo che c'era ancora qualcosa da fare, cercai nella mia mente di ricordare i versetti della Bibbia che avevo imparato al Campo Biblico delle vacanze. Iniziai a recitare i versetti della Bibbia a voce alta nell'oscurità silenziosa, ma il dolore non mi permetteva di ricordare. Per quanto mi sforzassi, non riuscivo a ricordare nulla al di là di una o due righe.Sono stata costretta a confrontarmi con una certezza. Non potevo più vivere con questo dolore. La morte era meglio di questa sofferenza. Morire non era più qualcosa da temere. Ora temevo il dolore più della morte. Avevo combattuto la morte il più a lungo possibile; ora ero quasi pronto ad accettarla. Ero pronta a pregare.
Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome. Venga il tuo regno. Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra...".La mia mente si è svuotata. Il dolore non mi permetteva nemmeno di dire un ultimo Padre Nostro. Provai ancora e ancora. Per un attimo, lo spazio di un battito di cuore, la frustrazione e la rabbia che mi invadevano erano così grandi da superare l'orribile dolore.
Come hai potuto permettere che accadesse? Ho urlato a Dio. Sono troppo giovane per morire! Il mio bambino non è ancora nato! Perché non ci lasci vivere? Che cosa abbiamo fatto di male? Perché mi stai facendo questo? Mi state punendo per qualcosa?". Gridai nella stanza vuota in preda alla rabbia.Con disperazione cercai di calmarmi per poter pensare abbastanza a lungo da poter fare accordi con Dio.
Dio! Potresti lasciare vivere il bambino e prendere me! Che ne dici, funzionerebbe? Dio! Potresti lasciarmi vivere e io avrei altri bambini. Potrei passare la mia vita a servirti. Funzionerebbe? No, non si possono fare accordi con Dio, sciocco! L'ho imparato in qualche lezione di scuola domenicale da qualche parte, no? È vero che Dio non fa patti?", chiesi alla stanza vuota.Dio fa ciò che fa per qualsiasi motivo. Lui e solo Lui può saperlo. Non sta a me mettere in discussione ciò che Dio fa". Continuai a parlare nel tentativo di convincere me stessa e di sciogliere la mia delusione e la mia rabbia.Poi, come una sorta di consolazione o premio in denaro, improvvisamente capii quella voce pacifica che mi sussurrava all'inizio di questo lungo calvario. Mi aveva detto: "Morirai, ma non avere paura! Aspetta, abbi fede, non temere, prega e muori".
Ora sentivo tutto chiaramente. Se l'avessi sentito chiaramente la prima volta, sicuramente le cose sarebbero andate diversamente. Teorizzai che sarebbe stato così.
È di che morte si tratta?", dissi con rabbia alla stanza vuota. È questo il mio momento di morire, che mi piaccia o no, Dio? Va bene, allora morirò! Cercai di calmarmi.Caro Signore, tu sai che ti sono sempre appartenuta, perciò, con grande riluttanza e dolore, ti restituisco la mia anima". Iniziai la mia ultima preghiera con rabbia e dolore. La mia anima ti appartiene, Signore. Ora puoi riprendertela. Mi dispiace di non essere stata la figlia migliore che avrei dovuto essere". Ho pianto. Caro Signore, ti sto dando anche il mio bambino. Sono pronta, quindi fallo in fretta e ferma questo dolore!".Mi misi il più possibile a mio agio sul letto dell'ospedale. Cercai di smettere di piangere e di liberare la mente. Quando sentii che il mio corpo e la mia mente erano il più tranquilli possibile, date le circostanze, cominciai a concentrarmi sul dolore. Lasciai che il dolore mi avvolgesse al cento per cento. Strinsi i denti e lasciai che il dolore si prendesse tutto ciò che era rimasto di me. Immaginai che tutto il dolore che avevo spinto contro i pannelli del soffitto, contro il cielo e contro Dio tornasse a piovere su di me. Lottai per far tacere ogni urlo che minacciava di sfuggire alle mie labbra.
Poi, molto rapidamente, fu tutto finito. Sono morta.
* * *
In un istante sono stata trasportata in un tunnel o in un corridoio pieno di pura e bellissima luce blu/bianca. La luce era così intensa che avrebbe dovuto farmi male agli occhi, ma non fu così.Abbassai lo sguardo sul mio corpo e scoprii che ero vestita con una lunga tunica bianca. Ero in piedi, fissando i miei piedi nudi e cercando nella mia mente di ricordare come ero passata dallo stare supina in un letto d'ospedale allo stare in questo posto nuovo e bellissimo. Mi misi a ridere alla vista dei miei piedi nudi.Non avevo paura. Ero piena di gioia e di meraviglia. Ricordavo perfettamente tutto quello che era successo prima di entrare in questo luogo di luce. Sapevo che questo era sicuramente il primo minuto di un nuovo e glorioso giorno. Ridevo, non piangevo.
Ho iniziato a fare una lista di controllo mentale. Sono incinta? Mi sono guardata in faccia. No", l'ho spuntata. Provo paura, dolore, pena, frustrazione, confusione e rabbia? NO!" Controllo e controllo.
Allora cosa sentivo? Ero felice, calda, rilassata, fiduciosa, amata, curata ed estremamente curiosa e in attesa. Ero felice di stare in piedi dove ero stata collocata con tanta gentilezza e attenzione, immergendomi nel calore e nel comfort che questa luce mi forniva. Non avevo dolore e amavo questo posto. Ero amata. Stava accadendo qualcosa di meraviglioso e qualcosa di più stava per arrivare. Lo sentivo.
La mia curiosità si fece strada. Sono viva o morta? Che cos'è questo posto, il paradiso?". Continuavo a farmi domande senza ottenere risposte. Mi sono scervellata, cercando di ricordare qualsiasi lezione di scuola domenicale che avevo imparato da bambina che avesse mai toccato l'argomento della morte o del paradiso. Il pensiero che questo luogo meraviglioso fosse l'inferno non mi era mai passato per la testa e non avevo mai studiato il purgatorio, quindi a questo punto non sapevo bene cosa fosse.Vediamo un po'... Porte di perle? No! Pensai mentre iniziavo un'altra lista di controllo. Guardai il più possibile attraverso la luce e non vidi nulla che assomigliasse lontanamente alla sagoma o all'ombra di una porta. Angeli?" pensai. No, nemmeno quelli".
Da dove mi trovavo non vedevo altro che luce. Tutto ciò che sapevo, come fatto fino a quel momento, era che venivo accudita, accarezzata e circondata da questa luce impressionante e radiosa. Non mi sentivo sola o stanca. Mi sentivo amata e protetta. Mi sentivo a mio agio e serena. Mi sentivo viva, davvero viva, ma ricordavo che pochi secondi prima stringevo i denti contro il dolore sapendo che stavo per morire. Avevo pregato che la morte avesse pietà di me e finisse in fretta il suo compito.
Ricordavo tutto quello che era successo prima, quindi ero convinta. Sono morta", pensai tra me e me. E non è poi così male. Anzi, mi sembrava piuttosto buono.
Ora l'unico mistero era: cosa sarebbe successo dopo? Ero pronta, disposta e in grado di scoprirlo.Ricordavo di aver sentito delle storie che dicevano che quando si muore i membri della famiglia, che sono morti prima di noi, vengono tutti a salutarci. Sarebbero venuti ad accompagnarmi in paradiso? Non lo sapevo. Così, ho aspettato.
Aspettavo che qualcuno mi incontrasse e mi mostrasse la strada per il paradiso. Chi sarà? Pensavo. Non riuscivo a ricordare un solo membro della famiglia che era morto che avrei riconosciuto e che avrebbe riconosciuto me. Allora, chi verrà a prendermi?", continuavo a riflettere.Un angelo, forse?". Ho considerato la possibilità che, senza un membro della famiglia che mi guidasse in cielo, lo facesse un angelo. Le mie domande iniziarono. L'angelo sarebbe maschio o femmina? Avrebbe le ali? L'angelo arriverebbe volando? L'angelo chiamerebbe il mio nome?". Tante domande e poche risposte. Il pensiero di vedere un angelo mi eccitava. Questo luogo mi eccitava e mi dava energia. Ma non arrivò nessun angelo.
Ero pronta a passare al passo successivo. Qualunque fosse quel passo. La mia mente continuava a correre, a porsi domande e a cercare di rispondere. Quale teologia religiosa sarà rivelata come verità in cielo? Quali storie del catechismo dovrei ricordare? Dovrei stare qui e continuare ad aspettare le indicazioni o dovrei mettermi in cammino da sola e vedere cosa succede? Avevo molte altre domande, ma ancora nessuna risposta. Il fatto che avessi così tante domande mi divertiva e mi faceva sorridere. Ero come una bambina esuberante che si preparava a fare la sua prima gita al negozio di caramelle e non vedeva l'ora di partire.
Ho aspettato. Ho messo a tacere i miei pensieri e ho passato il tempo ad ascoltare la quiete. Non c'era assolutamente alcun suono. Ero avvolta da un silenzio incredibile. Mi resi conto che mai nella mia vita avevo vissuto senza alcun suono. In questo luogo il silenzio era assoluto.Mentre ero viva, anche nel luogo più silenzioso che potessi trovare, c'erano dei suoni. C'era il suono del mio respiro e il battito del mio cuore. C'erano piccoli ronzii all'interno delle mie orecchie o i brontolii del mio apparato digerente che davano rumore anche al più tranquillo dei luoghi. Ma in questo luogo non c'era nulla, se non un pacifico silenzio. Lo adoravo!
Così come non c'era suono in questo luogo di luce, non c'era nemmeno movimento. Da dove mi trovavo, il tunnel sembrava infinito. Non si vedevano porte, finestre, soffitti o impianti di alcun tipo. Non c'erano ombre o movimenti che potessero attirare la mia attenzione. Ma questo luogo non sembrava affatto vuoto. Il luogo era pieno di vita, così decisi di smettere di giocare con me stessa alla "domanda da 64.000 dollari" e di intraprendere questa nuova avventura per trovare delle risposte. Avevo sempre messo in discussione tutto nella vita, quindi perché la morte dovrebbe essere diversa? Giusto? Non sapevo cosa aspettarmi, ma non avevo paura di scoprirlo.
Decisi di iniziare la mia ricerca camminando dritto verso il centro del tunnel, in modo da potermi fare un'idea più precisa di quanto fosse grande e lungo il tunnel. Tenevo gli occhi aperti e le orecchie in ascolto mentre camminavo allegramente verso il centro del tunnel chiamando: "Salve, c'è qualcuno?". Da un momento all'altro mi aspettavo che qualcuno venisse a presentarsi. San Pietro, forse?
Camminai per un po' finché non sentii che dovevo essere vicino al centro del tunnel. Naturalmente non c'era modo di saperlo con certezza, ma ero soddisfatta. Mi fermai, mi girai e cominciai a guardare lungo il tunnel per vedere se qualcosa si distinguesse dalla luce brillante. Non c'era ancora nulla, così decisi di camminare verso il centro per vedere cosa si poteva vedere.Prima che il mio piede potesse finire il suo primo passo, fui fatta levitare in aria. Mi sembrava di avere un gigantesco elastico che mi circondava la vita e con quell'unico movimento di allungamento in avanti del piede avevo raggiunto la fine del legame elastico. Fui sollevata dai piedi e tirata così rapidamente all'indietro da essere piegata a metà e le mie dita potevano quasi toccare le dita dei piedi. Mi sentivo trascinare all'indietro a grande velocità.
Non ebbi il tempo di chiedermi dove stavo andando o perché, quando scoprii che ero tornata in ospedale e che ero stata portata in sala travaglio sospesa orizzontalmente e senza peso sul mio stesso corpo.
Chiusi gli occhi mentre il mio corpo iniziava un movimento di fluttuazione avanti e indietro come quello di una piuma che si posa delicatamente sulla terra. All'inizio non ho avuto la sensazione di essere stata rimessa nel mio corpo, ma lentamente tutte le sensazioni sono tornate. Prima sentii le mani, poi i piedi, poi l'intero peso della mia carne e delle mie ossa che si posava di nuovo sul letto dell'ospedale. Non sapevo quanto tempo fossi stata lontana dal mio corpo. Sapevo che non poteva essere stato molto tempo, ma in quel periodo avevo perso il senso del peso e della massa. Il mio corpo ora si sentiva estremamente pesante e scomodo. Potevo sentirmi respirare e sentire i polmoni espandersi nel petto. Sentivo il rumore che entrava nella stanza dal corridoio, da sotto la porta chiusa.
Ero tornata nel mio corpo. Il mondo rumoroso mi assalì le orecchie. Non ne fui entusiasta e ricominciai il mio gioco di domande. "Sono viva? Sono di nuovo in ospedale?". Sentivo il mio corpo, ma non provavo alcun dolore. Quindi la domanda numero uno era: "Che diavolo ho appena vissuto"? Ho pensato.
Attraverso gli occhi chiusi potevo vedere la luce, una luce intensa. Risposta numero uno.
Sono viva! Devo essermi appena addormentata. Stavo sognando". Risi interiormente di me stessa.
Il dottore deve essere tornato nella stanza e aver acceso le luci. Quando ha acceso le luci mi ha svegliato dal mio sogno meraviglioso. Avevo proprio bisogno di dormire. Mi sento mille volte meglio! Il dottore deve essere tornato nella stanza per controllare se sono già morta". Pensai sorridendo.Ho aspettato. Ho ascoltato il dottore. Ho sentito il tocco delle sue mani. Ho controllato se la mia paura di questa realtà o della morte fosse tornata. Non c'era ancora nulla. La gioia e la pace che avevo sperimentato nel sogno persistevano anche ora che ero sveglia da minuti.
Mi sentii spossata, cercai un dolore e non lo trovai, così aprii gli occhi per poter vedere e parlare con il dottore.
Guardai il soffitto che avevo passato ore a memorizzare e a riempire di dolore i piccoli buchi nelle piastrelle acustiche e scoprii che le luci non erano accese. La cosa mi sorprese. Non avrei dovuto vivere per vedere un nuovo giorno, ma lo avevo fatto. Deve essere mattina", pensai.
La stanza era completamente illuminata da una piacevole luce bianca. Mi dissi che doveva essere un nuovo mattino e che il sole splendente faceva filtrare la luce attraverso le finestre della stanza. Che bel modo di svegliarsi e di iniziare un nuovo giorno", pensai.L'adrenalina mi scorreva nelle vene, mentre mi rendevo conto che non poteva essere la luce del sole del mattino a illuminare la mia stanza. Mi alzai a sedere nel letto.Presi atto dei fatti. Sono completamente sveglia. Non sto sognando. Sono ancora incinta". Guardai se la porta della mia stanza fosse ancora chiusa. Lo era. Ero ancora in ospedale, in una sala travaglio situata al centro del quinto piano. Non c'erano finestre nella stanza da cui potesse filtrare il sole. No, nemmeno una.
Le luci non erano accese, ma potevo contare ogni piccolo buco e difetto sul pavimento, sulle pareti e sul soffitto. Lentamente ispezionai l'intera stanza. C'era tutto. Il lavandino, gli armadietti, l'asta metallica che reggeva il mio sacchetto di "carne e patate" liquide in cima a vaschette trasparenti penzolanti che un tempo erano state attaccate al mio braccio. Ora notavo il dolore alla mano e al braccio dove gli aghi erano rimasti per troppo tempo. Esaminai la mia mano gonfia. Potevo vedere tutto perfettamente in questo bagliore bianco e luminoso.L'unica differenza nella stanza era che non era più uno spazio freddo, ostile e spaventoso. La brillante luce bianca che riempiva la stanza aveva portato con sé questa trasformazione. Era la stessa luce bianca del mio sogno. La luce riempiva la stanza in modo così intenso che avrebbe dovuto ferirmi gli occhi, ma non lo fece e... non ero sola.
* * *
Non puoi darlo a me, perché è già mio!" Sentii e percepii la voce roboante. Le parole vibrarono nella mia testa e nelle mie orecchie. Il rumore mi fece tremare i denti. Le parole fecero sobbalzare il mio corpo che si mise a sedere ancora più dritto nel letto. Non avevo alcun dubbio, nessun dubbio su chi fossi, dove fossi e che fossi sveglia e viva. Stavo dando a questa voce disincarnata la mia completa attenzione. La voce emanava dalla luce brillante che riempiva la mia stanza e copriva il mio letto.
Prima che potessi aprire la bocca e fare le domande più ovvie, l'impatto e il significato completo di quelle parole rimbombanti cominciarono a inondare il mio cervello più velocemente di quanto potessi comprendere tutti i loro significati. Ero il computer e mi stavo godendo un download completamente nuovo.
Domande che non avevo ancora formulato nei miei pensieri trovavano risposta liberamente, senza che io dovessi chiederle. Non stavo per morire. (Il mio bambino era un maschio e non solo non sarebbe morto, ma non sarebbe nato con danni cerebrali. Questo bambino che portavo ancora nel mio corpo sarebbe nato vivo, intero e sano. Il bambino sarebbe nato con un parto cesareo.Avevo sentito bene il messaggio, dovevo "aspettare, avere fede, non temere, pregare e morire". Avevo fatto quasi tutto questo. Naturalmente l'avevo fatto a malincuore, ma questo non contava. Era un messaggio incredibile.
Mi piaceva quello che stavo ascoltando ed ero pronta ad ascoltare di più e le lacrime di gioia scorrevano liberamente sul mio viso. Non ho nemmeno cercato di fermarle. Ho assorbito tutte le informazioni che potevo trattenere e le informazioni continuavano.
Dio ci dà dei figli, ma essi non ci appartengono mai. Appartengono a Dio. Ci è stato dato il privilegio di crescerli, insegnarli e amarli solo per un breve periodo, e poi dobbiamo lasciarli sperimentare il mondo. Dobbiamo consegnare i nostri figli nelle mani di Dio, sia che la loro vita esista in questo mondo per un solo breve respiro o per cento anni.Ogni vita viene al mondo con uno scopo, un piano e una ragione per nascere. Forse non sapremo mai completamente quale sia il piano per la nostra vita, ma Dio lo sa.Gli angeli vengono inviati a ogni persona nata su questo pianeta per trasmettere il messaggio che Dio è con noi. Gli angeli ci parlano e cercano di aiutarci a portare a termine il nostro scopo in questa vita. Dobbiamo imparare ad ascoltare e per farlo dobbiamo trovare il silenzio dentro di noi.
La morte, anche la strada più crudele e orrenda che percorriamo prima del momento della morte, ha uno scopo. La morte di uno può salvare molti. (Questo ha molti significati multipli che mi sono stati mostrati) La morte di qualsiasi tipo non è una punizione. La morte non è mai una punizione. La morte è un chiudere gli occhi e camminare di nuovo verso la vita. La morte è un ritorno a casa, all'inizio. La morte è l'inizio, non la fine. Dio non causa la nostra morte, noi accettiamo la morte. L'abbiamo accettata molto, molto tempo fa, quando siamo stati creati come esseri spirituali. Dio riconosce che abbiamo scelto di lasciare questa vita. È raro che Dio non ci permetta di morire al momento della nostra scelta. Abbiamo il dono (o la maledizione) del libero arbitrio e questo non cambia quando decidiamo di morire. Il nostro compito è quello di rimanere in vita il più a lungo possibile. L'avevo capito a livello spirituale e avevo lottato per quella vita.
Ero estasiata. Il mio miracolo era arrivato e anche di più, molto di più. Molte delle mie domande stavano trovando risposta e stavo ricevendo risposte a domande a cui non avevo ancora pensato. Ma volevo ancora di più. Sentivo la presenza di esseri che stavano intorno al mio letto, tanto vicini da poterli toccare. Avevo così tante domande. Non riuscivo a vedere un volto o una figura, solo la luce squisita e le voci diventavano cristalline.
Un'altra voce cominciò a distinguersi. La voce era molto familiare. Avevo sentito quella voce per tutta la vita. La voce che sentivo aveva, credo, lo stesso suono della mia. Mentre ascoltavo le parole, fui riempita da vividi ricordi del passato. La mia vita passata mi stava forse passando davanti agli occhi come i cartoni animati che avevo visto? Era straordinariamente vicino. Potevo vedere, annusare, sentire e vivere il passato, ma completamente come un osservatrice, senza paura.
Un esempio di ciò che ho ri-esperito è accaduto quando ero bambina, ma questa volta potevo vedere l'angelo in piedi dietro di me con la mano appoggiata sulla mia spalla destra. L'angelo, il mio angelo, mi parlava dolcemente.
Vedi la bambina bionda laggiù, dall'altra parte del campo da gioco?". La voce sussurrava.Sì, la vedo", risposi nella mia mente. Non l'ho mai vista prima a scuola. Deve essere nuova qui". Credevo di parlare ai miei pensieri, alla mia voce. Sembra strana". Ricordavo di essermi chiesta se fosse malata. Aveva delle occhiaie nere.L'angelo continuò a parlare alla mia mente come se fosse la mia voce. Perché non vai a parlarle? Sembra così spaventata e sola, non è vero?".Parlare con lei, perché? Non è nella mia classe. Io ho paura. Non mi piace parlare con persone che non conosco. Non so cosa dire". Ho continuato quella che pensavo fosse una conversazione con me stessa. I bambini possono essere paurosi e crudeli e io non ero da meno. Ma l'angelo insisteva.'Avvicinati a lei, allunga la mano e salutala. Dille il tuo nome. Chiedile il suo nome. Non ti farà male. Ha bisogno di un sorriso. Non temere, non ti farà del male". L'angelo parlò dolcemente e mi diede una piccola spinta in direzione della ragazza.
Ascoltai e mi mossi lentamente, ma alla fine riuscii ad attraversare il cortile della scuola fino alla bambina bionda. Le porsi la mano e con grande imbarazzo mi presentai. Parlammo per poco tempo durante la ricreazione e lei mi raccontò che era stata fuori dalla scuola per molto tempo perché aveva avuto la poliomielite. Proprio come aveva detto l'angelo, si era sentita sola e spaventata e potevo vedere nei suoi occhi che il solo fatto di stare a parlare con me le dava forza e calmava le sue paure. Vedere che anche lei aveva paura delle situazioni sconosciute come me mi ha fatto sentire più a mio agio e meno impacciata. Mi ha anche fatto sentire coraggiosa e importante.
Mentre entravo nella mia classe e lei nella sua, ricordo che mi gonfiavo e mi davo una pacca sulla spalla per aver superato la mia paura questa volta e per essermi convinta a fare qualcosa che normalmente non avrei fatto. Mi ero sentita bene e speravo che in futuro avrei potuto superare di nuovo le mie paure. Mi ero data tutto il merito. Che scherzo che sono stata.
Con questa nuova prospettiva ho visto che l'angelo mi ha tenuto sotto controllo per tutto il tempo in cui ho avuto questo incontro. L'angelo mi stava aiutando a sentirmi coraggiosa e a sentire una forza interiore. Dovevo imparare una lezione e crescere nell'amore verso gli altri.Mi sono poi state mostrate altre volte in cui ero stata sollecitata dalla presenza degli spiriti celesti a parlare o ad aiutare qualcuno in piccoli modi, ma in quelle occasioni avevo ignorato la voce e il tocco gentile e delicato. Mi è stato detto che cose così semplici possono cambiare un momento, un giorno o una vita intera per chi si rifiuta di agire e per chi deve ricevere l'azione. Così spesso in questa vita ci rifiutiamo di dare a noi stessi anche la minima quantità di tempo e di sforzo che servirebbe per ottenere una ricompensa così grande. Sentivo il mio viso arrossire per la vergogna. Ricordavo le tante volte in cui mi ero rifiutata di ascoltare, di muovermi e di agire. Tutte le preziose volte in cui la paura o l'indaffaramento mi avevano fatto voltare le spalle alla possibilità di compiere un semplice atto di gentilezza che avrebbe toccato la vita di qualcun altro, oltre che la mia. Avevo dei rimpianti.
Ho potuto vedere le volte in cui questo essere gentile mi ha avvertito di allontanarmi o di scappare da persone che in seguito si sono rivelate malvagie e che avrebbero potuto farmi del male estremo con effetti duraturi. Con grande tristezza, ho visto le volte in cui l'angelo ha cercato ripetutamente di guidarmi sulla retta via, ma con grande testardaggine ho rifiutato e ho camminato liberamente verso il pericolo. Come sono testardi gli esseri umani. Quanto ero testarda e sconsiderata.
Ho visto tutte queste cose e altre ancora in un istante. L'angelo era con me quando ero ferita, triste, sola e confusa. L'angelo era con me quando ero buona o cattiva. Che io scegliessi di ascoltare o di ignorare l'angelo, lui rimaneva sempre dietro di me. Ho visto tutte queste cose e altre ancora. L'angelo rimaneva con me, indipendentemente dal fatto che lo ascoltassi o meno. L'angelo mi amava. L'amore dell'angelo era solo un pallido riflesso dell'amore di Colui che mi aveva mandato l'angelo, l'amore di Dio.Come sarebbe potuta essere diversa la mia vita se avessi ascoltato quando l'angelo era lì a cercare di guidarmi e ho detto all'angelo proprio questo. Perché non me l'hai detto? Perché non l'ho saputo?".La risposta fu: "Lo sapevi". Conoscevo la risposta prima ancora che venisse data. Il mio spirito lo sapeva, lo aveva sempre saputo. Sapeva che per tutta la mia vita questa presenza era stata con me. Ora riconoscevo la verità alle luci e a me stessa. Era così importante che comprendessi e accettassi la verità.
Questo essere di luce che mi ha portata a capire e ad accettare che era il messaggero di Dio e il mio messaggero presso Dio, che ho chiamato il mio Angelo custode. È sempre stato con me. È sempre stato affettuoso, ha aiutato e mi ha fatto da guida. Non avevo mai accettato ciò che avevo percepito. Mi ha rivelato quei momenti in cui, da bambina, ho più che percepito la sua presenza. Da bambina lo sapevo! Quando, come e soprattutto "perché" ho perso questa capacità?
Prima che potessi fare le mie mille domande, sentii un'altra voce. Questa voce aveva lo stesso suono, ma in qualche modo percepivo una differenza. Sapevo senza chiedermelo che anche questa era la voce di un Angelo, un messaggero di Dio.
Invece di portarmi nel passato, questo angelo mi mostrò il futuro. Mi ci volle un po' per capire esattamente che cosa mi stava mostrando. Tutto era in fast forward e io stavo guardando me stessa del futuro. Era troppo veloce perché potessi comprenderlo completamente fino a quando, molto più tardi nella mia vita, gli eventi che avevo visto si verificarono.
In quel momento non sentivo quello che provava l'altra donna, la futura me, ma potevo percepire che stava lottando e aveva paura. Mi fu detto di osservare e di ricordare.
All'inizio mi sentivo abbastanza compiaciuta. Pensavo di aver compreso i fatti fondamentali di ciò che mi veniva mostrato. La vita non è dunque facile e a volte può essere una vera e propria seccatura.
Sentivo che gli eventi di oggi avevano cambiato tutto questo per me, perché avevo sentito la voce di Dio. Ero alla presenza degli angeli. Non vedevo come tutto ciò che il mondo avrebbe potuto gettarmi addosso dopo questa giornata avrebbe potuto abbattermi. Perché mai avrei dovuto avere un motivo per provare ancora paura, delusione o tristezza? Avrei scoperto che anche questi pensieri erano profondamente sbagliati.Che orgoglio e che arroganza! Che giovane sciocca sono stata. Sono un membro della razza umana che è piena di arroganza e di ego. Nella Bibbia, gli Israeliti furono liberati dalla schiavitù dall'Egitto. Dio aprì il Mar Rosso perché potessero fuggire. E cosa fecero gli Israeliti? Fecero un vitello d'oro da adorare quando Mosè li lasciò soli per qualche giorno.
Gli Israeliti temevano di morire di fame nel deserto e gridavano a Dio quasi ogni giorno. Dio diede loro la manna nel deserto. Poi si stancarono della manna e se ne lamentarono. 'Guai a me. Povero piccolo me. Cosa? Di nuovo la manna!Non è cambiato nulla. Mi ci sarebbe voluto del tempo per capire che non ero diverso dagli Israeliti di un tempo. Una volta mi hai fatto un miracolo, Signore, ma ultimamente cosa hai fatto per me! Questa è una grande fossa in cui cadono tutti gli esseri umani e io non sono diversa. È importante lavorare ogni giorno per evitare questa fossa. È ancora più importante che non siamo noi a scavare. Il mondo è già abbastanza bravo a scavare fosse in cui farci cadere. Non abbiamo bisogno di aiutarlo in questo percorso. Il vecchio detto dice: "Quando sei in una buca, impara a smettere di scavare". Non l'ho mai capito fino ad ora.
Ho annunciato con arroganza alle luci che non sarei caduta nelle trappole che il mondo mi avrebbe teso in futuro. Non avrei scavato le mie buche. Ho detto loro che non avrei mai potuto essere altro che felice e che non avrei mai più perso la fede. Poi mi è stato mostrato me stessa mentre piangevo in un momento del futuro.
Mi vedevo seduta da sola su una panca di legno in quella che sembrava una chiesa e piangevo in modo incontrollato come se il mio migliore amico fosse appena morto. Potevo sentire i miei pensieri. Ero arrabbiata con Dio. Stavo gridando a Dio! "Sei stato tu a fare questo! Ho gridato. Non ti ascolterò! Non farò quello che vuoi! Mi hai dato il libero arbitrio, ora lascia che lo usi. Ho il diritto di fare ciò che voglio e tu non devi fermarmi o interferire". Gridai nei miei pensieri.Ero scioccata nel vedermi nel futuro mostrare una tale rabbia e disobbedienza verso Dio. Non potevo essere io. Non avrei mai potuto, dopo il mio giorno di miracoli, fare qualcosa del genere, indipendentemente da ciò che era accaduto o da chi era morto. Non potevo essere io. Sono sicuro che gli angeli erano divertiti.
Continuai a gridare a Dio, poi una voce simile a quella che sentivo mi disse dolcemente che la strada che chiedevo di scegliere sarebbe stata disseminata di dolore e sofferenza. Questo mi fece piangere ancora di più e mostrare più rabbia.
Come pensi che mi senta ora? Quello che voglio fare non potrebbe causarmi più dolore o sofferenza di quella che sto provando ora. Lasciami andare", dissi nella mia mente alla voce.
Nessuna voce mi parlò più e questo sembrò farmi arrabbiare ancora di più di quanto non lo fossi già. Ma sentivo che potevo percepire qualcosa. Va bene, va bene, se vuoi che vada da quella parte, allora lo farò, ma c'è un prezzo da pagare. Dopo oggi non metterò mai più piede in questa chiesa". Con queste e altre parole arrabbiate il pianto del mio io futuro era così forte e feroce che non sentii più alcuna conversazione. Ma potevo percepire il senso totale di disperazione, impotenza, testardaggine e determinazione. Ragazzi, è una combinazione micidiale!
Poi ho visto un angelo con la mano sulla mia spalla destra in piedi dietro il mio futuro, io arrabbiata. Poi è apparso un altro angelo con la mano sulla mia spalla sinistra. Poi, uno dopo l'altro, sono apparsi degli angeli seduti, inginocchiati e in piedi intorno a me. Non erano lì per criticare, rimproverare o punire. Erano lì per darmi forza, conforto e guida. Gli angeli erano lì per mostrarmi l'amore di Dio. Erano lì per portarmi il conforto, la comprensione e l'amore di Dio.
Che sorpresa è stata per me scoprire che gli angeli e Dio hanno un ruolo così importante nella nostra vita. Come potrei mai avere paura, essere triste o sentirmi sola? Come potrei mai dire di no a qualcosa che Dio mi chiede di nuovo? Come potrei mai perdere la fede? Come potrei mai peccare? Ma gli angeli mi avevano mostrato che potevo fare e sentire queste cose e che le avrei fatte tutte. Ma Dio e i suoi angeli sarebbero stati sempre lì con me per aiutarmi.
Avevo migliaia di domande, ma prima che potessi farne una, la seconda voce finì di parlare e la voce maschile che emanava dalla luce ricominciò a parlare. Questa voce non sembrava quella degli angeli. Era il suono della prima voce che mi aveva portato all'attenzione. Era la voce che mi aveva detto che il mio bambino apparteneva a Lui. La voce non mi faceva più tremare i denti. Questa voce era piena di amore, gentilezza e comprensione. Ero pronta ad ascoltare. Ti ho dato un nome fin dalla tua nascita. Quando sentirai pronunciare questo nome, saprai che io sono con te". In quel momento non avevo idea di cosa stesse parlando, ma ascoltai.
Pronunciò questo nome speciale, non certo insolito, ma quando lo udii il nome fluì direttamente nel mio cuore come una cosa viva. L'amore e la gioia mi riempirono. Non avevo mai sperimentato nulla, né prima né dopo, di così appagante e potente. Le lacrime continuavano a sgorgare dai miei occhi e minacciavano di consumarmi. Tenevo gli occhi e le orecchie aperte per poter ascoltare ogni singola parola che la Sua voce mi diceva. La Sua voce, da sola, era potentissima.
Sapevo che ciò che veniva detto era estremamente importante. Mentre parlava, non sentivo solo le sue parole; ricevevo impressioni e comprensione al di là di quanto potessi comprendere in quel momento. Cercai di assorbire tutto il meglio che potevo. Per una volta nella mia vita rimasi senza parole mentre Egli mi parlava.
Hai cercato la verità. Non c'è peccato nella ricerca. La ricerca fa parte del tuo scopo. Cerca il mio volto. Cercate la mia verità. Non troverete tutta la verità su questa terra durante la vostra vita. Continuate a cercare per tutti i giorni della vostra vita, non smettete mai di interrogarvi. Quando vi sentite a vostro agio con una filosofia, restate con essa per un certo periodo. Se poi scoprite che è falsa, passate oltre. Non abbiate paura. Le verità possono venire da luoghi insoliti. Imparate tutto quello che potete da tutte le cose, i luoghi, le persone e gli eventi. Ascoltate con il cuore, la mente e le orecchie. Saprete quando troverete una verità. Io vi aiuterò. Tu sei la mia..." (mi ha chiamato con il suo nome speciale). Lui parlava, io ascoltavo dall'interno perché era lì che mi toccava e il suo tocco era caldo e amorevole.
La comprensione totale era al di là di me. Capivo meno del dieci per cento di ciò che mi veniva dato all'epoca, più di trent'anni fa. Ogni giorno imparo di più sul suo significato. Imparerò per tutti i giorni della mia vita e oltre.
Continuai ad ascoltare la voce e a concentrarmi con tutti i miei sensi, finché le parole, le visioni e le impressioni si interruppero bruscamente. Mi aspettavo ancora di più. Ciò che vidi fu la luce bianca e brillante che aveva riempito l'oscurità e che stava lentamente svanendo. Ero estremamente delusa. Volevo che questa esperienza, queste sensazioni continuassero per tutta la vita. Non volevo che il calore, l'amore e la serenità che mi avvolgevano se ne andassero, mai! Stavo godendo di una tale pace. Non avrei mai voluto che se ne andasse. Volevo che la luce mi circondasse per il resto della mia vita.
Aspetta, aspetta". Gridai alla luce. Ridevo e piangevo e le lacrime di gioia mi scendevano sul viso. Ho così tante domande".Con allegro divertimento mi fu detto di prendere il pulsante di chiamata dell'infermiera che non era più nella mia mano, ma ora giaceva sul letto al mio fianco.All'inizio ero confusa, non volevo chiamare nessuno nella stanza. Volevo rimanere nella luce. Trovai il pulsante di chiamata e lo sollevai proprio mentre la stanza diventava buia. Non andartene ancora, resta". Ho implorato la luce.
Anche quando la stanza tornò al buio pesto, continuai a provare grande gioia, amore e pace. La luce se n'era andata, ma sapevo che non ero sola e che non lo sarei stata mai più. Anche se non potevo vederlo, sapevo che il mio angelo era lì e che Dio mi amava a prescindere da tutto. E la cosa più importante che avevo imparato era che DIO È REALE! Ma il miracolo non si fermò lì.
* * *
Era giunto il momento di premere il pulsante di chiamata, come mi era stato ordinato, e lo feci. Lo premetti con il pollice e non lo mollai. Aspettai nel buio più totale. Poi aspettai ancora. Passarono lunghi minuti mentre pensavo a tutto quello che era successo in questa sala travaglio, in questo letto d'ospedale. Mi chiedevo anche perché ci mettessero tanto a rispondere al suono del pulsante di chiamata. Quanto si sarebbero sorpresi il medico o l'infermiera nel vedermi seduta nel letto, viva e ridente? Mi sono chiesta.
La porta della sala travaglio si aprì di scatto. In piedi, stagliato contro le luci del corridoio, c'era un uomo. Rimase in piedi sulla porta, immobile. Lo sentivo respirare. Sapevo che era il mio medico. Potevo sentire quello che provava. Era in lutto! Il medico pensava che fossi morta e la mano rigida da rigor mortis di una donna morta attivava il pulsante di chiamata dell'infermiera. Era riluttante a entrare nella stanza. "Entra, entra! Gridai allegramente. Non sono morta. Venga a vedere".
Il dottore quasi saltò fuori dalla pelle al suono della mia voce. Accese le luci della stanza e rimasi accecato dalla loro luminosità. Si precipitò nella stanza e la prima cosa che fece fu quella di strapparmi di mano il pulsante di chiamata dell'infermiera. Lo stavo ancora premendo.
Il medico iniziò la sua visita e io continuai con le mie parole di incoraggiamento. "Non si preoccupi. Ora andrà tutto bene". Il medico spostò lo stetoscopio per ascoltare il cuore del bambino. Credimi, anche il bambino sta bene. Vedi! Veda! Si può ancora sentire il suo cuore battere. Io sono viva e lui è vivo". Io continuavo a rimbalzare. 'Vedi! Vedi! Ora devi fare il cesareo e non preoccuparti di nulla. Andrà tutto bene. Te lo prometto". Piangevo, ridevo e pronunciavo tutte le mie parole di getto. Dovevo sembrare una pazza. Invece ero una donna estremamente felice.Il dottore continuava a guardarmi negli occhi mentre parlavo. Era confuso e preoccupato. Il dottore alzò lo sguardo e parlò per la prima volta da quando era entrato nella stanza. Sei sicura di volerlo fare, Linda? Il cesareo la ucciderà". Mi disse queste parole rallentando come se fossi ritardata o sorda e avessi bisogno di leggere le sue labbra.Voleva assicurarsi che capissi esattamente quello che stava dicendo. Mentre parlava mi fissava negli occhi, come se cercasse una conferma che io comprendessi le esatte conseguenze delle azioni che volevo che intraprendesse. Sapevo solo che in qualche modo dovevo convincere il medico a fare l'intervento e in fretta. Il dottore mi guardava ancora con aria confusa e preoccupata.
"Sono sicura, assolutamente, assolutamente sicura, la prego di credermi". Lo supplicai. Guardatemi, sto bene e guardate, guardate il dolore è sparito, non ci sono contrazioni". Ora temevo che il medico non mi avrebbe creduto. Dovevo convincerlo a fare il cesareo come mi avevano detto le voci. Raccolsi i miei nervi per la prossima serie di parole.
Sto bene, il bambino sta bene, tutto andrà bene, ma dovete ascoltarmi e fare il cesareo, ora! Guardi, mi guardi, mi guardi! Sto bene e voglio che tu faccia il cesareo. Per favore, mi creda. Andrà tutto bene, te lo prometto". Avevo alzato la voce di qualche decibel a ogni parola pronunciata nel tentativo di persuadere. Ora stavo gridando ed ero pronta ad alzarmi dal letto e a marciare per la stanza, se era necessario per convincere il medico di ciò che stavo dicendo.
Dall'espressione del suo volto potevo vedere il processo di riflessione in atto nel cervello del medico. Stava valutando i pro e i contro dell'intervento e pensava alle parole pronunciate da un paziente che rideva, piangeva e stava morendo. Doveva pensare che fossi un demente, ma capii quando il medico aveva preso la sua decisione perché l'espressione dei suoi occhi cambiò radicalmente.
Il medico, dopo aver preso una decisione, si limitò a fare un cenno affermativo con la testa, poi uscì di corsa dalla stanza e andò in corridoio. Lo sentivo gridare mentre chiamava le persone e dava istruzioni. L'operazione era pronta!Subito dopo, nella mia stanza d'ospedale si riversarono delle persone. Erano estranei per me. Cominciarono a infilarmi aghi nella mano e nel braccio. Faceva male, ma per me andava bene. Avevo dei piccoli dolori, ma in quel momento sapevo di essere viva.Sapevo di aver convinto in qualche modo il medico che l'operazione era necessaria e che era importante iniziare subito. Avevo convinto il medico che non sarei morta. Potevo rilassarmi e tirare un sospiro di sollievo.Ero convinta che anche con il cesareo il
dolore più grande arrivasse alle spalle. Il piccolo dolore dell'intervento chirurgico non mi avrebbe preoccupato più di tanto. Non avevo alcuna ansia.
La maschera dell'ossigeno tornò sul mio viso. Questa volta non andai in iperventilazione. Ero completamente nuda sul letto, con le persone intorno a me che facevano il necessario per prepararmi a quello che pensavano fosse un intervento d'emergenza. Non avevo alcuna preoccupazione al mondo. Ero soddisfatta.Ero rasata quasi dal mento alle ginocchia. Un giovane uomo molto concentrato era tra le mie cosce e le mie ginocchia e cercava, con poca fortuna, di cateterizzarmi. Continuava ad avvertirmi che questo avrebbe causato molto dolore. Io ridevo. Sapevo cos'era il dolore e quello che stava facendo non era nulla in confronto. Il giovane mi guardò come se fossi una demente e questo mi fece ridere ancora di più.Tutti quelli che entravano nella mia stanza mi sembravano così giovani. Avevo sofferto un dolore monumentale. Ero morta e poi tornata in vita. Avevo comunicato con esseri celestiali. Sentivo di avere cento anni in più di tutti i presenti nella stanza. Ero cambiata.Un giovane uomo in abito a tre pezzi perfettamente stirato entrò nella stanza e mostrava segni di confusione. Sembrava che fosse stato svegliato da un sonno profondo e poi spinto fuori dalla porta prima che fosse pronto. I capelli scompigliati e gli occhi assonnati erano in totale contrasto con il suo abbigliamento ordinato. Ho bisogno che lei e suo marito firmiate questo documento. Lei è consapevole che né il suo medico né l'ospedale raccomandano questo intervento. L'ospedale vi ha avvisato che questo intervento può portare alla vostra morte o a quella di vostro...". Il giovane continuò con il suo tono monotono.
Sì, sì, sono stata avvisata, grazie, grazie. Ora, dove devo firmare?". Sorrisi.
I documenti, fissati su una cartellina ordinata e organizzata, mi furono consegnati proprio mentre mio marito veniva introdotto nella stanza. Rich era così stanco, così triste, così giovane, guardava la confusione totale della stanza. Sembrava spaventato e confuso. Lo chiamai al mio fianco e cercai di rassicurarlo con un sorriso. Ora è tutto a posto. Firma i documenti. Faranno il parto cesareo. Si fidi di me". Gli consegnai i documenti. Rich era incerto, ma firmò i documenti perché glielo avevo chiesto. Anche lui mi guardava con occhi interrogativi. Era spaventato e confuso mentre osservava l'attività che si svolgeva nella stanza.Questa era la seconda serie di documenti che avevamo firmato. I primi documenti erano obsoleti perché era arrivato un nuovo giorno da quando avevamo firmato l'ultimo. I nuovi documenti ci informavano che non avevo buone probabilità di sopravvivere all'operazione. Non ero preoccupata.
Non si preoccupi. Ora andrà tutto bene", dissi a tutti i presenti. Volevo rassicurare tutti, compreso Rich. Non avevo parole per spiegare a Rich gli eventi della notte precedente prima che il mio medico rientrasse nella stanza.
Il dottore era notevolmente turbato nel vedere che tutti i preparativi per l'intervento non erano ancora stati completati. Il giovane medico che aveva tentato più volte di cateterizzarmi aveva fallito. Il mio medico si spostò per completare la procedura. Mi sorrise e mi preparò. Linda, questo farà molto male. Mi dispiace". Ancora una volta sorrisi.Non sanno nulla del dolore", pensai. Durante la procedura sentii pochissimo di quello che ormai consideravo dolore.
Al termine di tutti i preparativi, il medico posizionò tutti, compreso Rich, intorno al mio letto per iniziare la processione di spinta di me, insieme a tutta l'attrezzatura, fuori dalla porta e verso la sala operatoria. Il medico chiese a Rich di aiutarmi a spostarmi verso la sala operatoria e io ne fui felice.Fu in quel momento, guardando negli occhi preoccupati di mio marito, che mi ricordai del resto della mia famiglia. Erano in sala d'attesa da più di due giorni. Volevo rassicurarli che stavo bene e che tutto sarebbe andato bene. Dissi al medico che volevo accettare la sua offerta di far entrare la mia famiglia e i miei amici nella sala travaglio. Il medico non era divertito, anzi era irritato dalla mia proposta. Il medico era più che mai convinto che avessi perso qualche rotella durante la notte.
Il medico era in preda al panico per portarmi in sala operatoria e io gli stavo suggerendo che volevo prima socializzare. Capivo la sua frustrazione, ma cambiò subito marcia per accontentare il paziente. Aveva imparato che potevo essere molto testarda.Si decise subito di non portare parenti e amici in sala travaglio, ma di portarmi sul mio letto mobile fino alla porta della sala d'attesa. Avevo grandi progetti su quello che avrei detto, ma quando vidi il volto di mio padre persi la testa. Sembrava così piccolo. Era sfinito dalle preoccupazioni e dalla mancanza di sonno. Mi sentivo in colpa per aver fatto questo ai miei genitori. Cominciai a piangere.
Conclusione: Prima che potessi ricompormi a sufficienza per parlare, mio padre parlò tra le lacrime. Sorrise e disse: "Non preoccuparti ora. Andrà tutto bene. Tieni duro. Ti vogliamo bene". Mi ha fatto un grande sorriso di incoraggiamento e ha alzato il pollice in aria. Questo era il modo in cui mio padre mi diceva di tenere duro e di essere al mio fianco sperando per il meglio.
Non riuscii più a dire nulla. Piansi ancora di più nella mia maschera d'ossigeno. Il medico disse che era ora di andare, così io misi il pollice in aria in segno di assenso a mio padre e, senza che una parola di incoraggiamento a mio padre venisse dalle mie labbra, fui accompagnata verso la sala operatoria.
Pensavo che tutta l'eccitazione fosse finita. Pensavo che il resto della notte sarebbe stato noioso. Pensavo che i miei sentimenti di paura fossero passati. Pensavo che il mio miracolo fosse finito. Ho pensato male! La notte era appena iniziata.Fui tolta dal letto e messa sul tavolo operatorio con esposta la mia schiena nuda. Rimasi perfettamente immobile mentre gli aghi venivano inseriti nella mia schiena. Hanno detto che avrebbe fatto male ma non è stato così. Ho sentito punture di freddo e niente più.Mi hanno messo su un tavolo operatorio e hanno cominciato ad avvolgermi nelle lenzuola. Mi aspettavo che tutto e tutti fossero vestiti di bianco. Ancora una volta mi sbagliavo. Questo per quanto riguarda il riflesso televisivo della vita reale. I colori erano allegri blu, verdi e viola. Questa è stata una meravigliosa sorpresa.
Mi è stato presentato un medico che avrebbe eseguito l'intervento. Il mio medico avrebbe aiutato. Non è stato menzionato, ma ho pensato che il mio medico fosse semplicemente troppo stanco per operare lui stesso. Non ho avuto problemi con questa disposizione.Ho preso in giro il dottore e gli ho detto che volevo assistere all'operazione. Cominciò a spostare quelli che pensavo fossero specchi sospesi al soffitto e mi disse: "Non questa volta, signorina". Potrai assistere all'operazione la prossima volta, non adesso."Quando è iniziata l'operazione ero sveglia e interessata a ciò che accadeva intorno a me ma mi sono stancata presto. Ho visto uno schizzo di sangue colpire il panno che immagino fosse stato messo davanti alla mia faccia per impedire al sangue di colpirmi. Mi ha fatto sentire un po’ nauseata, quindi ho sistemato la testa da un lato il più comodamente possibile date le circostanze e mi sono addormentata. Mi sono svegliata con i suoni orribili del mio russare.
I miei medici stavano semplicemente facendo commenti divertenti tra loro sul mio russare. Ho sentito i commenti e ho sorriso. Tutti erano felici e lo ero anch'io. Mi sono rilassata e non ho sentito dolore, quindi sono tornata subito a dormire.
Mi sono svegliata la seconda volta non al suono del mio russare ma al suono delle urla, della tristezza e della confusione. Ho sentito voci alzate, urla e imprecazioni. Ero confusa su cosa stesse succedendo, quindi ho tenuto gli occhi chiusi e ho semplicemente ascoltato.
Il mio medico stanco e sofferente stava urlando. Era lui a imprecare. 'Sbrigati, sbrigati! Porta via quel bambino da lì!' Le urla del mio medico persistevano insieme al suo linguaggio più colorito. Poi avrebbe gridato di nuovo, questa volta con una preghiera aggiuntiva. 'Per favore, Dio, dacci solo un po' più di tempo, un po' più di tempo. Ne ha passate così tante. Presto, presto, leggetemi i numeri! #&^++##@%**@@. Il mio medico concluse il suo sfogo con imprecazioni.
Ero confusa e preoccupata. «Che cosa significano tutte queste grida? Perché il mio medico è così arrabbiato? ' Ho pensato. Una voce maschile alla mia destra iniziò a gridare numeri proprio mentre il mio medico aveva urlato la richiesta. Questa voce che leggeva i numeri cercava di farsi sentire sopra gli altri rumori nella sala operatoria. Ho cercato di dare un senso ai numeri e al rumore e al motivo per cui erano importanti. Non c'è voluto molto prima che la lampadina si accendesse nella mia testa.
Mentre la voce che leggeva i numeri continuava a gridare, i numeri continuavano a muoversi sempre più in basso. Man mano che i numeri si abbassavano, la voce del mio medico diventava sempre più forte. Continuò le sue imprecazioni mescolate alle sue preghiere. «Per favore, Dio, dacci più tempo. Ne ha già passate tante. Tutto ciò che chiediamo è solo un po' più di tempo. Dio, non puoi darci ancora un po' di tempo? Accidenti! Dannazione, non puoi muoverti più velocemente!' Pregava, imprecava e gridava istruzioni allo stesso tempo.Volevo dissipare le paure di tutti. Sarebbe andato tutto bene. Naturalmente lo sapevo, ma dovevo dirlo anche a tutte le persone sconvolte nella sala operatoria. Qualunque fossero i numeri, tutto sarebbe andato bene. Non volevo essere la causa di tutto il disagio e il trambusto.Ho provato a spostare la testa da una posizione laterale a quella centrale. La mia testa non ha risposto al mio comando. 'Cos'è questo? No, adesso Linda, non è il momento del panico.' Mi sono detto. I numeri continuavano a scendere.
Non riuscivo a sentirmi respirare. Avevo bisogno di fare un respiro profondo e parlare con queste persone. Ho provato a fare un respiro purificatore. Non potevo fare un piccolo respiro e tanto meno un respiro profondo e purificante. Ho provato ad aprire gli occhi ma non ci sono riuscita. Avevo bisogno di qualcuno che mi guardasse. Avevo bisogno di vedere qualcuno, chiunque. Avevo bisogno di muovermi, respirare e parlare. Avevo bisogno di aprire gli occhi. Non stava succedendo nulla. Non avevo alcun controllo su nessuna parte del mio corpo. Tutto quello che potevo sentire era freddo. Avevo così freddo e diventavo sempre più freddo. Tutto il mio corpo era come un cubetto di ghiaccio. Adesso era il momento di farsi prendere dal panico e l'ho fatto, dato che i numeri stavano raggiungendo lo zero.Potevo sentire quello che pensavo fosse il rumore metallico delle ruote di un carrello che veniva portato a lato del tavolo operatorio. Avevo visto molti programmi televisivi sui dottori. «Porteranno un carrello d'emergenza? Il mio cuore si sta fermando? Mi scioccheranno? Non possono farlo, vero? Non mi darebbero la scossa mentre il bambino è ancora dentro di me? Il bambino sarà scioccato. Non posso lasciare che lo facciano, non posso! Stavo parlando a me stessa in uno stato di panico più il mio medico urlava. Poi cominciò a ripetere la parola. 'NO, NO, NO, per favore Dio NO!'Sono andata nel panico. Ho cominciato a urlare nella mia testa e a ripetere ancora e ancora. «Non morirò. Non morirò. Non sto morendo. Non sto morendo! Gesù ha detto che non morirò. Non morirò! Non sto morendo. Salterò giù da questo tavolo. Lasciami scendere da questo tavolo. Non morirò. Qualcuno venga qui e mi tocchi. Vieni qui! Non sto morendo. Ascoltami, qualcuno mi ascolti", ho urlato dentro la mia testa.
Ho lottato per aprire gli occhi, prendere fiato, muovere il corpo in qualsiasi modo potesse far sapere alle persone nella stanza che ero ancora viva e che non avevo intenzione di morire.
Non so per quanto tempo ho lottato e pianto solo con me stessa. La voce che gridava i numeri era più tranquilla e i numeri erano quasi tutti zero. La voce del mio medico sembrava piena di disperazione e quando sembrava che avesse rinunciato alla battaglia è stato allora che ho vinto la mia.
I miei polmoni si riempirono d'aria e gridai forte. Ho scosso la stanza e ho urlato così forte. Ho sentito il rumore dell'aria mentre le persone riprendevano fiato e saltavano al suono della mia voce urlante. Sentivo la mia voce più forte di quanto avessi mai sentito prima, ma non ho smesso di urlare perché stavo urlando per la mia vita!
«Non morirò!» Non morirò!' Ho urlato così forte che avrebbero dovuto sentirmi in tutto l'ospedale. «Qualcuno venga qui e mi tocchi. Guardami. Non sono morta. Non sono morta. Non morirò! Gesù ha detto che non sarei morta. Fammi vedere una faccia. Guardami. GUARDAMI! Ti sto dicendo che NON morirò.' Ho urlato sempre più forte, le lacrime mi rigavano il viso.«Continua a urlare Linda. Continua a urlare." Ora toccava al dottore gridarmi. Ero piena di paura. Ero nel panico. Non ci volle molto per convincermi a continuare a urlare. Avevo la gola irritata per le urla. Sono sicura che i nervi di tutti nella stanza lo fossero.Ho lottato per calmarmi ma volevo disperatamente vedere un volto umano. Volevo sentire il tocco di una mano umana. Avevo bisogno di qualcuno vicino a me per potermi sentire sicuro del fatto che ero ancora viva. Ho continuato a piangere. 'Qualcuno venga qui. Lascia che ti veda. Toccami, toccami, qualcuno mi tocchi! Vedi, non sono morta.' Stavo facendo storie e mi stavo mettendo in imbarazzo, ma non mi importava.
Il mio medico ordinò a un'infermiera di spostarsi a capo del tavolo operatorio in modo che potessi vedere il suo viso. Era vestita tutta di blu. Stava alla mia sinistra, sembrava appena più alta delle spalle e della testa del tavolo operatorio. Mi ha parlato piano. Avevo difficoltà a sentire la sua voce, piangevo così forte. Indossava i guanti mentre asciugava le lacrime che mi rigavano il viso. Ha continuato a parlarmi piano. Ho continuato a chiederle di vedere il suo viso e di toccarmi. Avevo così freddo. Indossava una maschera chirurgica e volevo vedere il suo viso. Volevo che il contatto umano pelle a pelle mi rassicurasse in modo da poter assicurare a tutti gli altri nella stanza che non ero morta o morente. Ho iniziato a piangere e a fare richieste mentre ero vicino al panico.
Il mio medico ha urlato all'infermiera. 'Togliti la maschera, toccala, vai avanti, va bene, vai avanti.' L'infermiera sembrava riluttante a seguire gli ordini del medico ma si tolse i guanti e la maschera chirurgica che le nascondeva il viso.Ho visto il suo viso e mi ha scioccato fino al silenzio totale. Era bellissima e per il mio viso gelido le sue mani erano come un calore vivificante. Mi sembrava come gli angeli che avevo immaginato da bambina. Potevo vedere quelli che sembravano capelli bianchi pallidi sotto il berretto blu. Aveva occhi azzurri perfetti, labbra rosse, pelle morbida e pallida e una voce gentile da abbinare.
'Va tutto bene adesso. Sono qui con te", disse. Ha continuato a toccarmi il viso con le mani senza guanti. Mi ha baciato sulla guancia con le sue labbra e questo ha allontanato la mia paura e il panico. Mi ha sussurrato dolcemente parole rassicuranti all'orecchio e mi sono subito calmata. Le ho detto che ora stavo bene. Le ho detto che sarebbe andato tutto bene e che non sarei morta. Mi ha assicurato che avevo ragione. Mi ha incoraggiato a continuare a parlarle ma poi non sono riuscita a pensare a una parola da dire. Ma lei ha continuato a parlarmi.
Mi sono ricordata che le voci mi avevano detto quanto le persone siano importanti l'una per l'altra. Quanto hanno ragione. Il tocco di questa donna per me è stato impagabile.Mi vergognavo di avere avuto da così tanta paura. Solo poco tempo fa ero alla presenza del Signore e degli angeli che mi avevano detto che io e il bambino saremmo vissuti, ma tuttavia ero piena di paura e panico per la mia vita e per quella del bambino. Quanto presto l'avevo dimenticato. Ora la mia paura e il panico mi hanno completamente abbandonato ancora una volta.
Il mio medico annunciò con entusiasmo che il bambino stava per nascere. Potevo sentire il peso del bambino lasciare il mio corpo. Potevo sentire il suono umido del corpo del bambino che veniva spostato attraverso l'incisione nel mio addome.Il dottor Peterson, insieme alla sua squadra di neonatologia, si stava prendendo cura del neonato. Potevo sentire ma non capire molti dei suoni e delle voci alla mia destra. Il dottor Peterson, con voce irritata, cominciò a parlare. «Mi hai fatto alzare dal letto per questo!» Guarda questo bel ragazzone!' Potevo sentire il divertimento e il sorriso di sollievo nella sua voce.
'Che cosa?' fu la risposta arrabbiata del mio medico. Ho sentito i suoi passi allontanarsi rapidamente dal tavolo operatorio. 'Mio Dio, vuoi dare un'occhiata a questo? Linda, questo bambino è bellissimo. Pesa nove libbre e sei once. Ha dei buchini nel sedere.'La sala operatoria si riempì di piccole risatine per ciò che aveva detto il dottore. La voce del mio medico era piena di risate, gioia e sollievo. 'Lui è perfetto.' La voce del dottore era sommessa e piena di domande senza risposta. Il mio bambino era perfetto e questa è stata una sorpresa fenomenale per il mio medico. Teneva tra le mani un bambino perfetto e vivo che proprio ieri era stato condannato a morte.
Il medico tornò ad essere professionale quando annunciò: "Baby Ballasch, nato (ho potuto sentire la voce del dottore cambiare mentre muoveva la testa per guardare l'orologio, o il calendario, sul muro, 6 aprile, 2 del mattino..."Ho sentito un'interruzione vocale non identificata. 'Domenica di Pasqua.'La voce del mio medico era piena di riverenza e di lacrime mentre ripeteva: "Sì, la domenica di Pasqua".
Stavo sorridendo. Ero felice. Ma mi sentivo più che stanca. «Quanto ancora devo restare sveglia? Sono molto stanca.' Non ho parlato con nessuno in particolare nella stanza. Ero pronta per andare a dormire ora che l'emergenza era passata e sapevo che eravamo tutti fuori da ogni pericolo. Il mio medico mi ha risposto. «Il dottor Goldstein impiegherà altri venti minuti per chiudere, ma adesso puoi andare a dormire. Va tutto bene. Puoi andare a dormire." Mi ha assicurato. Le parole di ringraziamento erano appena uscite dalla mia bocca quando chiusi gli occhi e mi addormentai profondamente.
* * *
Mi sono svegliata otto ore dopo in reparto. C'era qualcuno dietro le tende accanto a me che si lamentava e sembrava che soffrisse molto e avesse bisogno di aiuto. Ho provato a girarmi e vedere chi c'era, ma ero praticamente legata al letto con una flebo piena di sangue che ancora mi riempiva il braccio gonfio. Ho chiamato un'infermiera.
Sono stata accolta da un'allegra signorina 'Ciao! Bella addormentata. Come ti senti?' Ha scostato le tende del mio letto che mi separavano dal resto del mondo e ho scoperto che era giorno.
Ero ancora molto stanca e avevo una gran sete. Ero viva e tornavo alla normalità. Oppure no? Non ne ero davvero sicura. Avevo pensato così tanto e avevo moltissime informazioni che non avevo ancora assorbito né compreso. «Forse non sono tornata alla normalità. Sono cambiata. Il mondo è cambiato. Cosa faccio e dove vado da qui?' Ho pensato.
L'infermiera mi spiegò che la donna in convalescenza accanto a me stava uscendo dall'anestesia e che sarebbe stata bene. L'infermiera girò attorno alle tende e parlò con le donne dicendole che era ora di svegliarsi e i lamenti cessarono.Ho detto all'infermiera che avevo sete e lei mi ha portato dell'acqua in un bicchiere con una cannuccia e mi ha aiutato a tenere il bicchiere con le mani tremanti. Mi ha incoraggiato a bere. Ho bevuto l'acqua ma me ne sono versata un po’ addosso.L'infermiera mi ha detto che sapeva che avevo avuto una notte difficile, ma ora stavo perfettamente bene e non avevo nulla di cui preoccuparmi da quel momento in poi. Tutto quello che sono riuscita a dire è stato: "Grazie". E le ho chiesto che ore fossero. Sembrava che fossi diventata fanatica nel sapere che ore fossero perché avevo perso così tanto tempo. Volevo rimanere orientata nel "tempo".
Lei sorrise e mi disse che erano le 10:00. Ero contenta. Dormivo da otto ore ininterrotte. Mi sentivo come se fossi stata investita da un camion ma ero viva. Ho iniziato a fare l'inventario, a controllare il mio corpo e a vedere se qualcosa mi faceva male. L'unica cosa che sono riuscita a trovare erano la mano e il braccio che erano legati e dentro cui scorreva sangue. A parte questo ero solo stanca.
L'infermiera allora mi disse che c'era un giovane che aveva aspettato fuori tutta la notte e se me ne fossi sentita lei lo avrebbe fatto entrare per vedermi solo per poco tempo. Ho accettato.Un giovane entrò nella mia stanza. Sapevo che era Rich, mio marito ma quasi non lo riconoscevo. Sembrava così giovane e così stanco. Anche lui sembrava cambiato.
Rich ha portato fiori e giocattoli (uno era un coniglietto) e una scatola di caramelle a forma di cuore. Mi ha chiesto se sapevo cosa c'era di diverso in lui. Non ero sicuro di cosa stessi parlando, quindi ho detto di no. Mi spiegò che ero stata così brava che si era tagliato i baffi. Mi vergogno di dire che non me ne sono accorta, ma non l'ho detto.Rich, durante la sua dura attesa soffrì separatamente da me, non aveva dormito molto né aveva avuto molto da mangiare o da bere. Non solo si era rasato i baffi, ma aveva anche perso tredici chili. Ho cominciato a pensare alla sofferenza che lui e il resto della mia famiglia devono aver sopportato durante questa dura prova e mi sono vergognata di non aver pensato più a loro fino a quel momento.
Rich mi ha consegnato la bellissima scatola di cioccolatini ed era pronto ad aprirli. Ma l'ho fermato. Sono una fanatica del cioccolato ma in quel momento il solo pensiero del cioccolato mi fece rivoltare lo stomaco. Ricordavo l'infermiera in sala operatoria che mi aveva toccato così meravigliosamente e mi aveva parlato. "Il mio angelo", la chiamavo. Ho chiesto a Rich se poteva trovarla e darle le caramelle. Ha detto che l'avrebbe fatto. Ma dopo una ricerca la donna che avevo descritto non fu mai trovata, quindi la scatola di caramelle fu portata alla postazione delle infermiere perché tutti potessero godersela.
Molte volte durante la mia degenza in ospedale ho chiesto dell'infermiera in sala operatoria perché volevo ringraziarla ma nessuno sapeva dirmi chi fosse. La mia descrizione deve essere stata molto sbagliata. Non dirò a nessuno che era un vero angelo perché in realtà era una persona reale. Voglio solo dire qui che gli infermieri possono essere la grazia salvifica di un paziente mentre continuano a svolgere il proprio lavoro e voglio ringraziarli tutti.
Rich non rimase molto a lungo perché ero molto stanca e anche lui lo era. Mi ha parlato dei miei genitori e del bambino che non avevo ancora visto.Era strano ma sapevo che andava tutto bene e sapevo che era perfettamente sicuro per me tornare a dormire. Avevo lottato contro il sonno per paura di non svegliarmi mai la notte prima. Adesso tutto quello che volevo fare era dormire.
Sono stato trasferito in una stanza nel cuore della notte. Mi sono svegliata abbastanza a lungo per vedere che mi stavano mettendo in ascensore, poi sono tornata a dormire. Stavo recuperando tutto il sonno che mi ero persa nell'ultima settimana.
Il dottor Goldstein è entrato nella mia stanza per controllare i miei punti con un gruppo di studenti di medicina. Mi ha tolto la benda e ha scoperto che ero guarita e non c'era sangue. Era sorpreso. Ha coperto quella sorpresa dicendo che aveva fatto un lavoro meraviglioso. L'ho ringraziato e lui e i suoi studenti se ne sono andati.Mi era stato detto che sarei rimasta in ospedale per due settimane o più per assicurarmi un completo recupero, ma venerdì, a soli cinque giorni dall'uscita dall'intervento, mi ero ripresa abbastanza per tornare a casa.
Sono stata io a spingere per tornare a casa. Non mi piaceva la vita in ospedale né il cibo dell'ospedale. Rich veniva a trovarmi tutte le sere e cercavo di convincerlo a contrabbandare quei tacos, torta meringata al limone e cioccolato al malto, ma aveva paura che se lo avessero preso lo avrebbero buttato fuori. Ero deluso. Stephan è il nome che abbiamo dato al bambino. Gli ho dato il nome del primo martire cristiano. È anche il nome di suo zio.
Anche Stephan ha avuto un notevole recupero. Fu messo in un'incubatrice per l'osservazione 24 ore su 24, ma fu rimosso in molto meno tempo perché godeva di ottima salute. Il dottor Peterson disse scherzosamente che il bambino doveva essere rimosso dall'incubatrice perché continuava a spingere via il coperchio. Stephan sembrava così grande nell'incubatrice accanto ai piccoli bambini prematuri. Aveva le mani grandi e mio padre lo soprannominò immediatamente "L'Alce". Ha dormito la maggior parte dei suoi cinque giorni di permanenza in ospedale, come me.Il referto del dottor Peterson sul bambino era che Stephan era normale o sopra il normale in tutti i test che potevano essere sottoposti a un neonato, ma il medico voleva fare dei test a sei settimane, sei mesi e un anno per verificare che non ci fossero danni cerebrali. . Il dottor Peterson ha detto che non era affatto preoccupato e nemmeno io.
Sono entrata in ospedale pesando centotrentasette libbre e sono tornata a casa pesando novantotto libbre. Non consiglio la prossimità della morte come una buona forma di dieta.Due giorni dopo aver lasciato l'ospedale, mia sorella, sua figlia, mio figlio appena nato ed io stavamo passeggiando sulla spiaggia godendoci il calore del sole primaverile.
Dopo aver lasciato l'ospedale ero perplessa. Dovevo scalare la montagna più alta e gridare al mondo il miracolo avvenuto? Dovevo cambiare lavoro e dedicarmi a qualche tipo di servizio a Dio? Dovevo tenerlo per me e non sussurrare mai una parola? Ho chiesto e ho ascoltato ma non ho ricevuto risposta. Le voci non mi dicevano cosa fare o come vivere la mia vita.Mi sono avvicinato a Rich e ho iniziato a discutere di quello che mi era successo in ospedale di cui lui non era a conoscenza. Prima che potessi entrare nei dettagli, ha esposto la sua teoria. Rich, in breve, suggerì che la mia esperienza fosse un sogno o un'allucinazione indotta dalla droga. Ha suggerito che forse non mi era stato somministrato abbastanza ossigeno.
Non avrebbe ascoltato, accettato o creduto che fosse accaduto un miracolo o che ci fosse stato un intervento celeste coinvolto nella nascita di suo figlio.
Ho provato a raccontare ai miei genitori quello che era successo. Prima che potessi tirarmi fuori più di una frase dalla bocca, mio padre iniziò a piangere. Con le lacrime che gli rigavano le guance disse: "Non voglio sapere niente. Il miracolo è che sei qui e sei viva. Questo è tutto il miracolo di cui ho bisogno.' Non ho mai più parlato con mio padre della mia esperienza di pre-morte. Morì nel 1976 meno di sette anni dopo. Sono passati trentadue anni dall'evento che mia madre mi ha chiesto di raccontarle l'esperienza, ed è stata una gioia raccontarglielo.
Le esperienze di pre-morte erano note nel 1969 ma non ne avevo sentito parlare molto. Dopo aver provato ad affrontare l'argomento con mio marito e i miei genitori, ero convinta che quello che mi era successo riguardasse solo me. Ho deciso di non dirlo agli amici né di parlarne in una discussione pubblica. Le voci non mi hanno detto nulla di diverso.
* * *
Sono tornata in ospedale dopo sei settimane. Il dottor Peterson ha dichiarato che Stephan è un bambino normale, sano e vivace. Sono andata a un appuntamento di controllo postoperatorio con il mio medico. Dopo la visita il mio medico mi portò nel suo studio e chiese il permesso di visitare Stephan. Ho accettato e il medico mi ha lasciato solo nel suo studio ad aspettare. Ciò non faceva parte della normale routine postoperatoria.
Quando il medico tornò, continuò a tenere il bambino in grembo. Era tranquillo, riservato . Non ero preparata per questo. Ero abituata a un sorriso e a una battuta per mantenere leggero il momento.
Mi aspettavo che io e questo dottore ci saremmo conosciuti meglio dopo la crisi che avevamo condiviso insieme solo sei settimane prima. Ma quello che ho visto era un uomo che si comportava in modo freddo e impersonale nei miei confronti. Ero estremamente confusa e delusa.Dopo che il medico, in modo sterile, impersonale e professionale, mi ha detto che tutto andava bene e che Stephan era in buona salute, pensavo che avrei potuto lasciato perdere e uscire dal suo ufficio per non rivederlo mai più, ma prima che potessi andarmene fui pervasa da un gesto di spavalderia.
«Allora, cos'è successo quella notte? Mi piacerebbe sapere! Ti comporti come se non ti ricordassi nemmeno di me!' Alzai la voce pronta a combattere. Ciò ha messo il medico sulla difensiva. La mia domanda sembrava del tutto sbagliata anche a me. Mi è dispiaciuto aver aperto bocca e stavo uscendo dallo studio quando il medico ha deciso di parlare. Ha detto che non sapeva esattamente di cosa stavo parlando. Ha spiegato che il fine settimana in cui è nato Stephan è stato lungo per lui. C'erano state quindici nascite e molte di esse erano avvenute mediante cesareo, di cui la mia era solo una. Sapevo che mentiva sui cesarei perché ce n'erano stati solo due durante tutta la settimana in cui ero in ospedale e uno di questi era il mio.
Ero imbarazzata ed ero arrabbiata. Come potrebbe qualcosa di così emozionante e profondo come guardare un paziente morire centimetro dopo centimetro non lasciare alcuna impressione? Come poteva non ricordarsi delle mie urla in sala operatoria? Come poteva non ricordare di essersi lasciato andare e di aver urlato in sala operatoria? L'ho affrontato. "Perché eri così sconvolto, urlavi e imprecavi in sala operatoria?" Non sapevi che potevo sentire ogni parola che dicevi?'
La sua risposta fu immediata e rabbiosa. «Non hai sentito niente!» Eri priva di sensi!»'Ma allora!! Il dottore se lo ricordava." Ho pensato."Ho sentito ogni parola e anche di più." Ho detto. Allora cominciai a ripetere quello che aveva detto e gli strani suoni che avevo sentito. Più dicevo, più i suoi occhi diventavano grandi e più pensavo che stesse impazzendo. Ma prima che il dottore dicesse una parola, vidi una dolcezza cadere sui suoi occhi e il suo comportamento cambiare. Cominciò a rilassarsi. Appoggiò i piedi sulla scrivania e appoggiò la sedia allo schienale.
"Avevi ragione Linda quando mi hai detto che i medici non sono Dio", ha detto. "Stava ascoltando", ho pensato tra me. "Ho visto un bambino di cinque anni morire di shock per non aver fatto altro che sbattersi un dito del piede. Ho visto un uomo di sessantacinque anni con un cuore gravemente malato rianimarsi con la RCP dopo essere caduto dalla sua barca ed essere annegato. Ha vissuto. Non ne fa più nessuno da allora", ha continuato:
«Hai detto che un medico è semplicemente un uomo. Hai ragione. Ero così frustrato, stanco e arrabbiato in quella sala operatoria che ho iniziato a urlare quando ti stavamo perdendo. O urlava o piangeva. Stavi morendo e non c'era niente che potessi fare per fermarlo. D'ora in poi dovrò ripensare a quello che dirò a un paziente privo di sensi, non è vero?' disse il dottore, ora rilassato e di umore molto migliore.
«Stavi morendo sul tavolo e non c'era niente che potessi fare al riguardo. Ma guardati adesso e guarda questo bellissimo bambino sano. I medici non sono dei e noi commettiamo errori.' Tenne il bambino stretto al petto e gli accarezzò la testa setosa.
Non ero sicura se il dottore o io avremmo pianto per primi, ma quando mi ha restituito Stephan ho potuto sentire che il suo umore era cambiato ancora una volta. Era diventato teso e sterile. Il metodo di questo medico era quello di contenere le lacrime che minacciavano di trasparire attraverso quella facciata professionale che costruiva attorno a quella che considerava una debolezza. La conversazione era finita.Avrei voluto raccontare al dottore tutta la storia di quello che era successo nella mia sala travaglio dell'ospedale tra lui che lasciava la stanza e tornava al suono del pulsante di chiamata dell'infermiera, ma c'era un muro che mi fermava. Questa è diventata la mia risposta alla domanda se fosse mia responsabilità rendere pubblica e raccontare al mondo la mia esperienza di pre-morte. Quella è stata l'ultima volta che ho visto quel dottore.
Ora mi viene chiesto di raccontare la storia e così l'ho fatto.
Informazioni Preliminari:
Genere: Femmina
Data in cui avvenne l’NDE: 5-6 Aprile 1969
Il momento della sua esperienza fu associato ad un evento che minacciava la sua vita? Si Parto stavo morendo all’ospedale, incapace di partorire
Elementi dell’NDE:
Come considera il contenuto della sua esperienza? Positiva
Si è sentito separato dal corpo? Si solo quando sono rientrata nel corpo.
In quale momento durante l'esperienza era al suo livello più alto di coscienza e di attenzione? Totale.
Il tempo sembrava accelerare o rallentare? Tutto sembrava accadere simultaneamente; oppure il tempo si era fermato; oppure aveva perso ogni significato ho perso il senso del tempo
Era consapevole di eventi che accadevano altrove? Mi fu detto cosa fare, che avrei avuto un bambino e che sarebbe stato bene e mi fu mostrato il mio futuro.
E’ passato attraverso o dentro un tunnel? No sono entrata direttamente
Ha incontrato o sentito la presenza di persone defunte (o vive)? Si leggi la storia
Ha visto una luce soprannaturale? Si leggi la storia, una luce bellissima intensa
Le è sembrato di entrare in un mondo soprannaturale? No
Le è sembrato di comprendere improvvisamente tutto? Tutto ciò che riguarda l’universo oggi continuo a ricevere delle conoscenze particolari
Ha ricordato qualche episodio del suo passato? Ho avuto la revisione della mia vita passata poi ho visto circa 15 anni nel future, imparo di più ogni giorno, l’esperienza che ho vissuto mi aiuta a vivere oggi.
Ha visto episodi relativi al suo futuro? Episodi del futuro del mondo tutti erano accurati e completi.
Ha raggiunto una barriera o una chiara delimitazione? Si quando raggiunsi il centro della luce fui spinta indietro
Ha raggiunto un confine o punto di non ritorno o Ha potuto scegliere se rimanere o ritornare al suo corpo terreno? Sono arrivato ad un limite che non mi era permesso superare; oppure sono stato rimandato indietro contro la mia volontà mi è stato detto che dovevo ritornare indietro
Dio, Spiritualità e Religione:
Qual era la sua religione prima dell’esperienza? nessuna
Di quale religione è ora? Ho fede, non religione
Ha modificato valori o convinzioni in seguito all’esperienza? Si molto e molto da dire
Vita Terrena non riguardante la Religione:
Dopo la sua esperienza, quali cambiamenti nella sua vita ci sono stati? Credo che tutti gli aspetti della mia vita sarebbero stati completamente diversi se non avessi avuto questa esperienza. L'esperienza guida tutta la mia vita.
Le sue relazioni interpersonali sono cambiate in modo significativo a causa della sua esperienza? Ascolto quello che mi dicono le voci e rispondo. Mi commuovono. Mi sento di più per le persone. Vedo un Dio personale che ha con l'umanità un rapporto molto più grande di quanto avessi mai creduto possibile.
Dopo l'NDE:
La sua esperienza è stata difficile da esprimere in parole? Si ogni volta che ne parlo piango, anche oggi
Ha capacità paranormali o comunque fuori dall’ordinario ottenute dopo la sua esperienza che non aveva prima? Si continuo a far sì che le voci mi parlino e mi diano informazioni speciali. Non sconvolgente per il mondo, ma importante per me e per coloro che mi circondano o per gli altri con cui entro in contatto.
C’é una o più parti della sua esperienza che per lei ha un carattere particolarmente significativo o importante? La cosa migliore era il rapporto personale con Dio. La cosa peggiore era non sapere mai quando avrei dovuto parlarne e fino a che punto dovevo spingermi a parlarne.
La sua esperienza é stata condivisa con altri? Si Alcuni anche oggi pensano che io abbia bisogno di cure mediche. Altri, estranei, hanno avuto bisogno di quello che dico loro e poi non li rivedo mai più.
Durante la sua vita, c’è mai stato un evento che ha riprodotto in tutto o in parte la sua esperienza? No
C’é qualcos’altro che vorrebbe aggiungere relativamente alla sua esperienza?
Ho aspettato molto tempo per raccontare tutta la storia in una volta. Grazie.